Marco Riccòmini
All’ombra del Vesuvio
Ogni volta che lo incontro, penso che con quella faccia sorridente e la sua esuberanza Umberto sarebbe riuscito bene come attore; lo avrei visto nella parte del barone ‘du Vallon de Bracieux de Pierrefonds’, ossia del Porthos di Dumas padre, con la spada al fianco (la celebre Balizarde) in una taverna seicentesca. In effetti, nasce in una famiglia di artisti e ha anche provato a campare dipingendo; e se quella passione non si è trasformata nel mestiere di una vita, ne ha cavato però molti insegnamenti sulla pittura sconosciuti a quelli che non hanno mai tenuto in mano un pennello. Crescendo all’ombra del Vesuvio non poteva non innamorarsi della scuola di pittura barocca napoletana di cui tra le sue mani sono passate molte opere, come quel Luca Giordano che qui si riproduce. Però, la scoperta che più lo ha emozionato rimane quel Ritorno del figliol prodigo del parmigiano Giovanni Lanfranco (che, certo, lavora anche a Napoli), capolavoro della collezione del Marchese Vincenzo Giustiniani, scovato in un’asta parigina. Dopotutto, «avec un physique comme celui dont la nature m’a doué, je ne manque pas de bonnes fortunes» (con un fisico – inteso qui come occhio – come quello di cui mi ha dotato la natura, non mi mancano i colpi di fortuna), avrebbe detto il personaggio dei Tre Moschettieri, pur sapendo che non è la sorte quella che fa la differenza nello scovare i dipinti, ma il talento. Intanto, sperando di replicare l’alchimia di quel colpo, recupera opere perdute, come il Cavallino visto al Tefaf. Ricordandoci che, senza la speranza, nessun uomo avrebbe creato opere d’arte.