Marco Riccòmini
La Ninfa dello scorpione
Si narra che fino all’epoca vittoriana, i nobili inglesi, per temprare l’anima e il corpo dei loro rampolli, li imbarcassero come mozzi sui vascelli della Royal Navy. Dopo aver circumnavigato il globo ed essere scampati a burrasche, scorbuto, filibustieri e scaramucce coi nativi di qualche isola sperduta, ed essere usciti (più o meno) indenni da lunghi mesi di convivenza forzata coi loro consimili, o si spezzavano o tornavano uomini fatti. Così, col pretesto d’imparare l’inglese, Damiano si ritrovò arruolato nel dipartimento dei disegni antichi della Sotheby’s a Londra, con la fortuna di assistere l’occhio svelto di Julien Stock, uscendone temprato. Sono gli anni nei quali si disfano le fortune dell’aristocrazia inglese e si fanno quelle degli antiquari, per lo più italiani, dall’occhio fino e il fare lesto. Gli anni in cui poteva capitare – per dire – di acquistare per 500 Sterline una figura in marmo scaricata da un furgone, ottenendo persino lo sconto perché, nella manovra, s’era rotta la falange di un mignolo. Per poi scoprire che si trattava della Ninfa dello scorpione di Lorenzo Bartolini (1777–1850), che finì poi nelle raccolte della Cassa di Risparmio di Prato (oggi Intesa San Paolo). Rientrato a Firenze, torna a dar vita a quella che era stata la galleria del padre in Borgognissanti, fino all’incontro con Francesca Antonacci, con la quale convola professionalmente (e non solo) a nozze aprendo l’incantevole sede di via Margutta a Roma. Da qui, convergendo verso un gusto eclettico ed internazionale, tra Neoclassicismo e primo Novecento, comincia l’avventura del Tefaf.