vita d'antiquari

Marco Riccòmini

Franco Giorgi

Lo Stemma Martelli

«Non ho fatto che raccogliere il testimone che mio nonno passò a mio padre. Allora – e parlo della seconda metà degli anni Settanta [del secolo scorso N.d.R.] – l’attività della Galleria Giorgi, in via de’ Serragli [a Firenze] spaziava dal commercio al dettaglio, alle aste di antiquariato, d’arte moderna e persino contemporanea». Poi, d’un tratto, la scomparsa del padre Giorgio, portò Franco a ritrovarsi con le redini in mano e il peso d’una lunga eredità. La scelta, allora, assecondando la sua natura, fu quella di preferire al commercio quotidiano e alla vetrina il lavoro di ricerca, concentrandosi sulle stime e le valutazioni di oggetti d’arte o intere collezioni, costruendosi poco per volta una carriera di consulente tecnico, come collaboratore del tribunale, e anche di tante società assicurative e privati. Nella veste di Art Advisor, l’operazione che gli rimane più nel cuore fu l’acquisizione dell’eredità Martelli per conto di Monsignor Fabrizio Porcinai, a quel tempo rettore del Seminario Maggiore, che la scomparsa contessa Martelli aveva nominato come erede. E fu grazie alla vendita allo stato dello Stemma Martelli, scolpito nientemeno che da Donatello, che si riuscì a sbloccare il cosiddetto “nodo Bardini”, ovvero l’ingente eredità che il figlio del celebre antiquario Stefano Bardini aveva lasciato, con vincoli capziosi, allo Stato italiano. «E, per quanto la mia parte in quella complessa operazione, rimase, com’era giusto che fosse, un po’ nell’ombra, ne vado molto orgoglioso, perché sia la mia città che l’intero Paese ne trassero un grande guadagno».