Marco Riccòmini
Il “figlio” di Utz
A chi ha la casa zeppa di libri, sarà capitato almeno una volta di sentirsi chiedere da un visitatore occasionale (che poi ci si è guardato bene dall’invitare ancora) se li avesse letti tutti. Dario risponderebbe di possedere «circa 5000 libri riguardanti la scultura, tutti letti e studiati». Dopotutto, il padre collezionava porcellana di Meissen che, oggi, ne farebbe un uomo raro, un po’ come quell’Utz reso celebre dal romanzo di Chatwin. «Quanto costerebbe oggi un Arlecchino di Kaendler a un’asta di Londra? Non ne ho idea», rispondeva Bruce, a quella domanda a bruciapelo; domanda cui non è semplice rispondere soprattutto oggi, dacché il mondo è cambiato (e vai a capire i prezzi della «zuppiera di Brühl, Fröhlich e Schmiedel, la Pompadour», ecc.). Dario comincia proprio con la porcellana, ai tempi in cui ci si emozionava per una tazzina di Vezzi. Da lì, il passaggio alla madre di tutte le porcellane, ossia alla Cina, fu quasi naturale, sebbene le cose si complichino, c’è da immaginare (per me è cinese!). E quindi i bronzi del Novecento, altro territorio fino ad allora inesplorato a sud delle Alpi e poi Adolfo Wildt. E gli esordi, ossia di quando depose la chitarra, per darsi all’antiquariato? Volli comprare un regalo per il compleanno d’una amica. In un mercatino trovai un calamaio in bronzo, senza sapere cosa fosse. Quello stesso pomeriggio visitando una bottega ne vidi uno uguale e, quando dissi di averne uno, fui invitato a venderlo. Dalle 3.000 Lire che avevo speso ne ricavai mezzo milione e capii che, forse, quello avrebbe potuto essere il mio lavoro. E l’amica?