Marco Riccòmini
Una norvegese a Firenze
La città di mare norvegese da cui proviene ha nello stemma una nave vichinga, una testa di drago per polena, una vela quadrata a strisce bianche e rosse. Perché lì (ossia nei pressi del porto di Sandefjord, a sud-ovest di Oslo lungo la costa dello Skagerrak), sul finire dell’Ottocento fu rinvenuta la Nave di Gokstad, un’imponente drakkar vichinga del IX secolo (quando Carlo III detto il Grosso, l’ultimo dei carolingi, governava l’Italia, per intenderci). E come i suoi antenati, che solcarono i mari giungendo a mettere a ferro e fuoco alcune città costiere italiane come Pisa, narrano le fonti, anche Anita non ha avuto timori nel “veleggiare” lontano da casa, cedendo a sua volta al fascino del meridione d’Europa. E sebbene gli studi furono indirizzati più sull’arte moderna che su quella antica, la “virata” verso l’antiquariato è arrivata quando nel 2001 si è trovata ad ereditare i muri di quella che fu la bottega di Livio Bruschi in via dei Fossi a Firenze (di cui ha conservato, in memoria, il “nom de guerre”). Forse, nel suo sangue scorre il gusto dei suoi avi “Danesi” (Dani, com’erano detti i Vichinghi), così che Anita propende per gli oggetti preziosi, o i Works of Art, come quel bauletto cinquecentesco in legno rivestito di cuoio punzonato, oggi a Palazzo Davanzati (il Museo della Casa Fiorentina Antica), o quel prezioso cofanetto embriacesco finito presso un collezionista americano. O, anche, quella testina di giovane in marmo, forse francese (che secoli fa, nel corso d’una razzia, non avrebbero esitato a staccare con un colpo d’ascia bipenne da un portale gotico).