vita d'antiquari

Marco Riccòmini

Tommaso Megna

Mi chiedo se Tommaso lo abbia registrato; perché il racconto di suo padre Fabio Massimo che ricorda di quando un giorno andò a casa di Giuliano Briganti, accompagnando suo padre Fernando, dovrebbe rimanere nei libri di storia.

«Era domenica mattina – comincia Fabio Massimo con quella sua inconfondibile ‘r’ moscia – ma il cliente voleva la perizia il giorno dopo. Così suonammo al campanello, attendendo. Nessuno veniva ad aprire e mio padre mi disse di suonare un’altra volta. Udimmo dei rumori da dietro la porta, un tramestio di catenacci quando, d’un tratto, ci trovammo di fronte Giuliano, in vestaglia, i capelli arruffati, un profumo di donna che aleggiava nell’aria». «Fabietto! Che succede? Proprio ora...». «Niente, niente, professore; solo un quadretto» lo anticipò Fernando, prendendo dalle mani del figlio una teletta di Vanvitelli, notando che un sorriso illuminava il volto di Giuliano.

Basta quest’unica scena a far capire che alle spalle di Tommaso c’è una parte importante del mercato antiquariale romano, dal nonno che aprì la galleria nel 1960 in via del Babuino al padre che ha imparato da Briganti e Andrea Busiri Vici.

La Galleria Megna è stata il luogo ideale per chi cercava la pittura di Natura Morta e quella di Veduta e Paesaggio.

Oggi l’occhio di Tommaso, grazie ai suoi studi universitari, è maggiormente attratto dalla pittura caravaggesca e barocca, dedicandosi a riscoprire opere dimenticate o male attribuite come il dipinto di Ludovico Gimignani qui riprodotto, acquistato in Germania dove era misteriosamente assegnato alla mano di un pittore tedesco del Settecento.