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Marco Riccòmini

Doodle

In fondo, più della qualità del prodotto vale come lo si reclamizza.

Pennello a mezz’aria e sguardo furtivo, come a mettere in guardia chi la guarda con aria di sufficienza. «I will show Your Illustrious Lordship what a woman can do» (Mostrerò alla Vostra Illustre Signoria di cosa è capace una donna), sembra dire. Così l’8 luglio, a 427 anni dalla nascita, Google dedica il doodle ad Artemisia Gentileschi. La pagina d’apertura del motore di ricerca la dipinge pressappoco nella posa del suo celebre Autoritratto nelle vesti della Pittura del Royal Collection Trust (salvo per la faccia da manga giapponese). Un bel successo, raggiunto grazie al tam-tam degli ultimi anni dove, tra mostre e record d’asta, pareva che dealers e musei facessero a gara ad avere una sua opera (e poco importa se una è diversa dall’altra così da far nascere il sospetto che non siano tutte della stessa mano).

Lo stupro, il processo, il difficile rapporto col padre, amico di Caravaggio; humus fertile per fare di una pittrice (modesta; avete presente Orazio?) prima un ‘simbolo del femminismo’, poi una moderna superstar. A ricordarci che, in fondo, più della qualità del prodotto vale come lo si reclamizza. Lo ammette persino la mostra che la National Gallery di Londra le sta dedicando (dopo aver pagato a caro prezzo un dipinto che le si attribuisce): «She challenged conventions and defied expectations to become a successful artist and one of the greatest storytellers of her time» (Ha sfidato le convenzioni e ribaltato le aspettative per diventare un’artista di successo e una delle più grandi cantastorie del suo tempo). Storytellers, mica pittrice; avete letto bene.