Un pamphlet di Carlo Pavolini
Nell’ipnotica contemplazione della grande altalena storica su cui dondolano timorose le opere d’arte si rischia talvota di non considerare, nella valutazione dei soggetti che ne alimentano il saliscendi, la responsabilità relativa alle politiche di gestione, tutela e valorizzazione. Nel panorama contemporaneo delle voci molto attive (tra queste si sente anche Carlo Pirovano) hanno scelto di sposare la causa in un impegnato lavoro editoriale che si potrebbe definire “in presa diretta”. Non fa eccezione la pubblicazione gentilmente segnalataci, già dal titolo, che rimbomba nelle pagine della dissertazione: Quale valorizzazione (Robin&sons, 20 euro, 240 pp.). Il “libretto (o pamphlet che dir si voglia)” ha l’obiettivo di puntare i riflettori “sulle strategie di valorizzazione che nell’era franceschiniana sono state propagandate e messe in atto”. Prendendo le mosse da questo scopo principia una disamina di fatti e fattacci inerenti episodi più vari: il destino degli antichi luoghi dello spettacolo, la strumentalizzazione di questi, concessioni e susseguenti defilès, ma anche opinioni e riflessioni su molto altro ancora. Ça va sans dire, di fronte a una tale rilevanza, dovizia, e varietà di casi, qualsiasi tentativo di mettere il libro al vaglio critico in questa sede scadrebbe nel ridicolo. Si fa invece in tempo a suggerire che, al netto delle posizioni dell’autore, l’approccio ottimale sarebbe piuttosto quello che lo stesso Pavolini ammetteva per le rinnovate controversie sorte a suon di spade e sangue (si fa per dire, per fortuna) sull’annoso progetto di ricostruzione dell’arena del Colosseo: “è bene sentire sempre l’altra campana”. Venationes a parte, altrettanto subitamente si riconosce che la buona organizziazione delle notizie esposte - che non camuffa tra le righe le proprie prese di posizione, ma le dichiara apertamente ammettendo un contraddittorio - è scintilla sufficiente ad accendere la miccia della curiosità e dell’approfondimento trasversale per ogni querelle esposta. Insomma, il testo invita al pensiero critico, con un linguaggio limpido e accessibile a chiunque, buttando tutto sul tappeto e non alle ortiche come più spesso accade. Fuori da ogni pretesa di verità assoluta, il testo di Pavolini ci impegna in argomenti mai ancillari, lasciandoci pure opportuno spazio per plausi o criticismi vari.