Stefano Pirovano
La piattaforma digitale del nuovo "Import of Cultural Goods System" europeo è quasi pronta, tra nobili intenzioni e qualche interrogativo
In materia di importazione di opere d’arte da paesi terzi, secondo quanto emerso dall’ultima tavola rotonda organizzata da CINOA (Lisbona, 4 e 5 luglio), la notizia è che non si attendono significativi cambiamenti rispetto a quanto quanto stabilito dal regolamento 2019/880 (qui il link al documento completo), che di fatto entrerà in vigore il 28 giugno del 2025, quando la piattaforma digitale per dichiarare l’importazione di un bene culturale, ossia l’Import of Cultural Goods System, sarà operativa. Importare in Europa opere provenienti da paesi terzi sarà più complicato e, ciò che più preoccupa, l’onere di provare che un certo bene è stato esportato dal paese di provenienza in modo regolare spetterà al soggetto che importa il bene. Ovviamente ci sono dei distinguo. Per esempio, il regolamento non si applica alle opere che già si trovano in Europa, oppure che qui sono state prodotte entro i confini dell’unione e che a essa ritornano. Ci sono beni ad alto rischio, per esempio i beni di natura archeologica, e beni considerati meno critici, ossia quelli con più di 200 anni e un valore di mercato inferiore a 18.000 euro (per questi basterà un auto-dichiarazione). Per i beni ad alto rischio sono previste delle deroghe. Se non è possibile tracciare la provenienza d’origine basta provare che il bene si trova legalmente nel paese da cui viene esportato da più di cinque anni, e lo stesso vale per i beni usciti dal paese di origine prima del 24 aprile 1972 (data della convenzione UNESCO sull'esportazione). Anche in questo caso basterà provare che il bene si trova legalmente da almeno cinque anni nel paese da cui viene esportato. Tuttavia l'opinione condivisa da mercanti, galleristi e case d’asta è che la Commissione abbia lavorato partendo da un principio discutibile, ossia che il mercato dell’arte offra significative opportunità al riciclaggio del denaro “sporco” e sia perciò terreno fertile per organizzazioni terroristiche e trafficanti di varia natura. Il che è attualmente tutto da dimostrare, come sottolinea l’Avvocato Giuseppe Calabi, che alla tavola rotonda di Lisbona ha partecipato in veste di rappresentante del Gruppo Apollo, attualmente presieduto da Alessandra Di Castro, che a sua volta ribadisce l’importanza per l’AAI di essere presente, anche attraverso Apollo, nei tavoli di discussione (ricordiamo che Apollo è membro del sotto gruppo che presso la Commissione Europea ha portato al tavolo di discussione la voce degli operatori italiani). Allo stato attuale non ci sono evidenze che provano che il mercato dell’arte europeo sia effettivamente un lunapark del riciclaggio mondiale, eppure l’ICG System, ossia piattaforma digitale attraverso cui il richiedente dovrà offrire le informazioni necessarie a importare legalmente un bene culturale in Europa, è già a buon punto, e qualcuno ha avuto modo di testarla, riscontrando quella complessità di cui dicevamo all’inizio. È successo a fine maggio, a Bruxelles. Serviranno immagini del bene (al momento sono 7), bisognerà fornire una descrizione molto dettagliata dell’oggetto (peso incluso) e, soprattutto, bisognerà provarne la lecita provenienza. Burocrazia che si aggiunge alla burocrazia che grava su un settore già di per sé estremamente complesso. Ne vale davvero la pena? Si stanno tenendo presente i principi di ragionevolezza e proporzionalità che il regolamentatore, la Commissione Europea in questo caso, dovrebbe adottare? I dubbi restano, anche per CINOA. La confederazione, che ricordiamo è stata fondata a Bruxelles nel 1935 per raccogliere le associazioni più significative del settore - tra queste l’AAI, rappresentata nell’ultima tavola rotonda da Riccardo Bacarelli -, in un documento dello scorso marzo ha commentato il Q&A pubblicato sul proprio sito web dalla Commissione Europea (link). Secondo CINOA, infatti, le risposte offerte hanno avuto il tono di una nota legale alle varie autorità nazionali più che essere dirette agli importatori, vale a dire gli utenti finalì dell’ICG System (qui il link al documento pubblicato da CINOA). Nel frattempo, in Svizzera il dibattito sulla provenienza delle opere d’arte ha assunto dimensioni importanti dopo il caso Gurlitt e la discussa ricezione da parte del Kunstmuseum di Berna del consistente gruppo di opere sequestrate dalla polizia tedesca a Cornelius Gurlitt. La stessa collezione Buhrle, che dal 2021 è in prestito permanente alla Kunsthaus di Zurigo e ha riaperto al pubblico nel monumentale scrigno marmoreo a questa dedicato (disegnato da David Chipperfield), sente il bisogno di dedicare al tema della provenienza una grande mostra, con approfonditi apparati didattici e puntuali paragoni storici - A future for the past: The Bührle Collection: art, context, war and conflict (Kunsthaus Zurich, fino al 31 dicembre 2024). Solo una guerra di portata globale avrebbe permesso di raccogliere una tale collezione, a chi ha di fatto sfruttato la situazione vendendo armi dalla neutrale Svizzera al regime nazista. Simili interrogativi sono sorti al Museo Rietberg, che pure si trova a Zurigo e che negli ultimi anni si è focalizzato proprio sulla provenienza delle opere, portando all’attenzione pubblico i fatti che hanno portato alla musealizzazione dei propri beni attraverso la mostra Pathways of Art: how objects get to the museum (2022). Ma come sappiamo la Svizzera, come l’Inghilterra del resto, è fuori dall’Unione Europea, e purtroppo nel frattempo lo scenario globale non ha dato segni di stabilizzazione, anzi. Certe problematiche, in effetti, potrebbero ripresentarsi. A questo punto il pensiero corre inevitabilmente alle parole del Kaspar Utz, il collezionista di ceramiche Meissen intorno al quale ruota il celebre romanzo scritto da Bruce Chatwin nel 1988. Purtroppo guerre e grandi crisi offrono al collezionismo straordinarie occasioni. Per fortuna dal 28 giugno del 2025 questo potrebbe non esser più così vero, almeno per l'Europa.