notizia

Simone Facchinetti

Un libro sulle aste memorabili dell’Hôtel Drouot

Non basta il Cardellino in copertina

Le recensioni negative ormai non si scrivono più. Questa l’ho fatta solo per spirito di servizio, con la sola intenzione di non farvi buttare soldi dalla finestra (come, malauguratamente, è capitato a me).
Con una storia secolare come quella che ha alle spalle l’Hôtel Drouot ci si aspettava un libro ricco di informazioni e ricerche, magari frutto di un’indagine capillare sulla più celebre piazza parigina dedicata agli incanti d’arte, e invece… Invece è appena uscito un volume da Flammarion, scritto da Judith Benhamou, intitolato Histoire extraordinaires de l’art à l’Hôtel Drouot. De Vermeer à Louise Bourgeois (pp. 208, 35 euro), piuttosto deludente, tolta l’immagine di copertina.


"Le recensioni negative ormai non si scrivono più. Questa l’ho fatta solo per spirito di servizio, con la sola intenzione di non farvi buttare soldi dalla finestra (come, malauguratamente, è capitato a me)."


Tutti sanno che la delusione nasce – nella maggior parte dei casi – da un’aspettativa tradita. Poniamo di non averne nessuna e iniziamo a sfogliare il libro con molta calma e distacco. Ci accorgiamo subito che l’autrice l’ha organizzato individuando 10 nuclei narrativi molto forti. Si va dall’asta dell’eredità Thoré-Burger del 1892 a quella dell’atelier Degas del 1918, fino ai nostalgici ricordi sugli acquisti parigini della Bourgeois (ma cosa c’entrano? Non dovevamo leggere la storia delle aste più celebri di Drouot? Boh!). Storie magnifiche, per carità, ma già note e stranote. Alcune, poi, sono scritte sciattamente, come quella sui fratelli Goncourt, piena di melensa retorica e di dosi drogate di politicamente corretto.

Judith Benhamou si presenta come una semplice giornalista specializzata, nonostante abbia curato mostre di arte contemporanea apparentemente serie (non le ho viste, quindi mi astengo dal giudicare). Forse il punto sta proprio qui: è sufficiente una giornalista per scrivere sul mercato dell’arte? Per Flammarion pare proprio di si: “tanto è un argomento banale e secondario che chiunque può essere in grado di maneggiare”, avranno pensato.
In realtà una giornalista resta una giornalista, ascolta, traduce, divulga ma non sa esattamente di cosa sta parlando, ameno non in profondità. Ecco ciò che si trova nel libro, un continuo brusio di sottofondo, interrotto da qualche ticchettio, picchiettio, tintinnio… al diavolo!