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Marco Riccòmini

Colour Revolution

Il colore non è qualcosa che oggi associamo all’idea che abbiamo dell’Inghilterra Vittoriana.

«Il colore non è qualcosa che oggi associamo all’idea che abbiamo dell’Inghilterra Vittoriana», esordisce uno dei saggi nel catalogo della mostra Colour Revolution. Victorian Art, Fashion & Design presso l’Ashmolean Museum di Oxford (fino al 18 febbraio 2025). «Spesso ci immaginiamo città nebbiose ed inquinate – prosegue il testo di Matthew Winterbottom e Charlotte Ribeyrol –, interni tetri ed abiti scuri, colpa anche di certe pellicole che spesso dipingono quell’epoca come buia e priva di colore. Niente potrebbe essere più lontano dalla verità», ci assicurano. E, in effetti, nel catalogo si è invasi da una colata di colore, a cominciare dalla sua splendida copertina (salvo poi scoprire che il dipinto che vi figura è stato ritoccato con tinte vivaci assai azzeccate, ma in realtà assenti dalla tela...). Il ritratto dell’età vittoriana che ne esce sostituisce con le «more brilliant tints than fancy could conceive (tinte più brillanti di quanto l’immaginazione possa concepire)» il “fumo di Londra” come lo conoscevamo, quando ci figuravamo l’inseguimento a lume di torcia di un ‘Bobby’ (ossia un poliziotto) a Jack lo squartatore. Le piastrelle goticheggianti di Minton, le vetrate della chiesa di St James’s a Marylebone disegnate da Burne-Jones, gli scialli ambrati donati dal maharaja di Jammu & Kashmir alla regina Vittoria, la predilezione di Oscar Wilde per il verde (alla voce ‘Queer Colours’) ribaltano i nostri preconcetti e ci riportano, quasi magicamente, ai giorni nostri quando, passata la furia iconoclasta degli arredatori minimalisti, trionfa il coloratissimo massimalismo.