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Marco Riccòmini

Let the Sunshine in

Peli e contropeli hanno fatto la storia del costume e di ciò che questo di solito occulta

Se ci fosse stata una musichetta di sottofondo, avrebbe dovuto essere Let the Sunshine in (lascia che entri la luce del sole), hit dell’album The Age of Aquarius pubblicato da The Fifth Dimension nel maggio del 1969, colonna sonora del musical Hair, trasposto sul grande schermo da Miloš Forman nel 1979. Ho il sospetto che dalle nostre parti uno spettacolo chiamato ‘peli’ o ‘capelli’ (Hair) avrebbe avuto più difficoltà a sfondare, figurarsi poi se a un curatore di museo di Roma o di Milano venisse in mente di allestire una grande mostra dal titolo Des cheveux et des poils (dei capelli e dei peli) come quella che son riuscito a vedere per un pelo (chiude il 17 settembre) o per il rotto della cuffia (quella che protegge i capelli) al Musée des Arts Décoratifs di Parigi. E già vedo alzarsi qualche sopracciglio (per rimanere in tema), ma invano. Perché peli e contropeli (in testa, sul viso, sul petto, sotto le ascelle, tra e sulle gambe, e un po’ dappertutto) hanno fatto la storia del costume e di ciò che questo di solito occulta. Femme à barbe e maschi dai petti villosi (tipo i fratelli Gibb sulla copertina di The Bee Gees Broadcast Special 1979), dall’antichità fino ad oggi son sempre stati al centro della scena artistica, perché non farne quindi il soggetto d’una mostra? Così si apprenderebbe che la coiffure à la fontange prende il nome da Marie Angélique de Scorailles, duchessa di Fontanges, favorita di Luigi XIV che, si narra, avendo perso cavalcando il berretto si legò la chioma con la giarrettiera mandando in visibilio l’amante, il re (Sole) dei parrucconi. Da acquistare il catalogo.