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Simone Facchinetti

Immaginario Ceruti

Una mostra parallela

Se pensate che i dipinti di Giacomo Ceruti siano delle tranche de vie, delle istantanee dei nostri poveri avi del XVIII secolo, siete fuori strada. Era bello e rassicurante crederlo ma non è affatto così. Un giovane e brillante studioso – anche sulla scorta delle pionieristiche aperture di Mina Gregori – ha dimostrato che molti elementi che troviamo nei quadri del pittore lombardo sono puntualmente ripresi da stampe del suo tempo, oppure più antiche. Francesco Ceretti è il curatore, assieme a Roberta D’Adda, dell’interessante mostra “Immaginario Ceruti. Le stampe nel laboratorio del pittore” che ha aperto in contemporanea alla monografica dedicata al Pitocchetto (e di cui scriveremo prossimamente) negli spazi del Museo di Santa Giulia a Brescia (aperta fino al 28 maggio, catalogo Skira).


"Basta con le ipotesi che sembrano vere solo nella testa di chi le formula, senza un confronto onesto, una verifica rigorosa, l’applicazione disciplinata di un metodo".


A differenza di altri ricercatori che si sono occupati di questi argomenti (ovvero la circolazione e l’uso dei modelli a stampa) Ceretti non lascia spazio al pressapochismo. Basta con le ipotesi che sembrano vere solo nella testa di chi le formula, senza un confronto onesto, una verifica rigorosa, l’applicazione disciplinata di un metodo. Un atteggiamento irreprensibile che si vorrebbe vedere adottato anche da quelli che fanno le attribuzioni a naso, a sentimento, a … (qui starebbe bene un’insolenza in romanesco, n.d.r.).

Certo non sorprende che Ceruti abbia attinto alle celebri incisioni di Jacques Callot, ma chi si sarebbe aspettato di trovarlo a commerciare con una stampa di Aubert, tratta da un’invenzione di soggetto erotico di Boucher?

Alla sua morte possedeva quasi trecento “carte di diversi autori”. D’altronde non doveva essere neppure particolarmente difficile procurarsele, dato che la moglie Matilde de Angelis faceva la libraia di mestiere.