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Marco Riccòmini

Donatello, il Rinascimento

Il diretto messo a segno dall’Amore-Attis, poi l’uppercut dei Battenti della Porta dei Martiri avrebbe messo K. O. per meraviglia qualsiasi visitatore

Se voi foste poco addentro alle faccende artistiche del Quattrocento potreste anche esitare prima di metter piede a Firenze in quella che s’annuncia come la mostra dell’anno Donatello, il Rinascimento (a cura di Francesco Caglioti, Palazzo Strozzi e Museo Nazionale del Bargello in collaborazione con gli Staatliche Museen di Berlino e il Victoria and Albert Museum di Londra, fino al 31 luglio 2022). Chi v’andasse, appunto, digiuno di studi recenti e, magari, persino ignaro delle vivaci questioni attributive che hanno diviso la critica financo più recente su cosa sia da riferire al maestro fiorentino e cosa no, potrebbe temere di smarrirsi in un fiume d’erudizione. Con quel vago timore, infatti, mi sono avventurato in quelle sale, rimanendone folgorato come chi, distrattamente, s’aggrappasse ad un cavo elettrico poggiando al tempo stesso i piedi in una pozza d’acqua. Già il bestiario bronzeo del Giambologna, adocchiato quasi per errore nel loggiato del Bargello, aveva sciolto il nervo ottico e, poi, quell’uno-due – il diretto messo a segno dal putto in bronzo con le brache calate noto come Amore-Attis, poi l’uppercut dei Battenti della Porta dei Martiri dalla Sagrestia Vecchia della Basilica di San Lorenzo – avrebbe messo K. O. per meraviglia qualsiasi visitatore dalla “mascella di vetro” (ossia di media sensibilità). Aggiungerò che, a differenza del solito, persino il catalogo non è ostile al lettore e, a dispetto del suo peso “massimo”, si lascia scorrere con una certa leggerezza. Invidio i custodi che, la notte, lontano da sguardi indiscreti, possono carezzare quelle forme.