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Andrea Daninos

Marco Datrino

Le incredibili avventure di un antiquario visionario.

Quando in futuro vi sarà chi si dedicherà allo studio del mercato antiquario in Italia, una voce significativa dovrà essere riservata alla personalità di Marco Datrino, rapito con la moglie Fiorella dall’insidiosa pandemia. In anni in cui compulsare freneticamente vendite all’asta online pare l’unica occupazione consentita, sembra impossibile che vi sia stato un tempo in cui un antiquario visionario, non già attivo a Londra, New York o Milano, ma orgogliosamente insediato nel piccolo comune di Torre Canavese che conta non più di seicento anime, riuscì a esporre in due memorabili occasioni i tesori del Cremlino e ricevere la visita di Michael Gorbaciov e della moglie Raissa. Se questo fu il culmine pubblico della sua carriera, ben più significativa appare la sua avventura di antiquario, formatosi negli anni Sessanta con il padre in un Piemonte che vedeva il monopolio assoluto del mitico Pietro Accorsi. Troppo limitante per uno spirito curioso come quello di Marco, circoscrivere la propria attività a un solo campo dell’antiquariato; per il suo spirito avventuroso acquistare en bloc intere collezioni era divenuta la sua vera specializzazione, al punto talvolta, come era avvenuto con la collezione Bruni Tedeschi, di dover acquistare anche il contenitore - il castello di Moriondo in questo caso- pur di ottenere il contenuto. Dall’acquisto di quanto rimaneva della mitica collezione Gualino (tra le opere, Beccafumi, Picasso, Modigliani, Renoir…) a quello della collezione dei duchi di Genova e di quella dei Savoia nel castello di Pollenzo, con la cinquecentesca ancona lignea già nell’Abbazia di Staffarda e oggi nel museo di Palazzo Madama a Torino, il lungo elenco dei suoi successi può fornire un’utile traccia per una storia del collezionismo italiano del dopoguerra. Nel 1963 Pietro Accorsi intervistato dal poeta Attilio Bertolucci (erano veramente altri tempi quelli in cui i poeti intervistavano gli antiquari) aveva detto: “Sono le cose che trovano me… e allora non c’è niente da fare bisogna assecondarle, non tenendo conto delle difficoltà”. Parole che avrebbe potuto sottoscrivere Marco e che paiono il motto della sua vita, una vita dove dopo ogni nuova sfida vinta, attendeva con ansia di potersi impegnare nella successiva avventura.

Caro Marco, se pure hai perso l’ultima battaglia, il ricordo delle tue vittorie e di una vita felice facciano sì che la terra ti sia lieve.