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Simone Facchinetti

Le aste al tempo della pandemia

Un anno vissuto pericolosamente

Dopo un anno di pandemia possiamo tirare qualche bilancio. Le aste hanno continuato a funzionare, non al ritmo di prima ma neppure arrancando. Tutto si è smaterializzato: i cataloghi sono diventati digitali, i luoghi espositivi sono stati ricostruiti in 3D, le vendite celebrate online. Questo cambiamento era già in atto da tempo ma ha vissuto un’accelerazione senza precedenti. I valori economici e il successo degli incanti sono stati ridefiniti da due fattori principali. La capacità delle opere di raccontare una storia e la loro “apparenza” fotografica. Con il rischio di scadere nella generalizzazione è evidente che la fortuna di un’opera d’arte è segnata dalla sua storia. Maggiori sono gli elementi che concorrono a ridefinirla maggiori sono le probabilità di vendita.


"Non importa se il dipinto è stato appiattito da una foderatura e non ha più quegli strati pittorici che stimolano l’occhio del conoscitore, oppure il bronzo o il marmo hanno perduto la loro patina, quello che conta è la loro apparenza."


Di questi tempi tutto fa brodo: dall’ultima celebrità che l’ha posseduta al recente scritto accademico che se ne è occupato. Il soggetto fotogenico ha radicalmente cambiato le prospettive della nostra percezione. Non importa se il dipinto è stato appiattito da una foderatura e non ha più quegli strati pittorici che stimolano l’occhio del conoscitore, oppure il bronzo o il marmo hanno perduto la loro patina, quello che conta è la loro apparenza. Ovvero quello che resiste della loro bellezza tramite la visione di uno schermo retroilluminato. Forse è questo il punto di non ritorno che ridefinirà i canoni delle nuove forme di collezionismo.