notizia

Simone Facchinetti

La rivincita delle croste

Sembravano destinati all’estinzione, confinati nel loro habitat naturale, le soffitte buie e dimenticate. Invece, data la situazione generale, hanno avuto i loro 5 minuti di gloria.

In tempi di pandemia le case d’aste hanno svuotato i solai, le cantine, i retrobottega, gli scantinati. A dire la verità non avevano molte alternative. Col fatto che non era possibile né vedere né toccare la merca (“palpa vilan che roba!”), i gioielli di famiglia sono stati messi in cassaforte, in attesa di momenti migliori.

La tendenza degli ultimi anni era abbastanza chiara: le croste non si vendevano più. O meglio: le croste non valevano più nulla (anche se qualcuno disposto a portarsele a casa si trovava sempre, come le gattare coi gatti). Insomma i brutti quadri avevano toccato il minimo storico. Sembravano destinati all’estinzione, confinati nel loro habitat naturale, le soffitte buie e dimenticate. Invece, data la situazione generale, hanno avuto i loro 5 minuti di gloria.

Le croste sono come gli zombie: gli spari e continuano a camminare. Provi ad annegarle e, puf, tornano a galla. Il punto è che inquinano, più della plastica nei mari e del petrolio nei fiumi. Devastano la fauna indigena, come i siluri nel Po. Ho sentito un amico sostenere con convinzione: “a forza di vedere croste ho perso la capacità di apprezzare tutto il resto”.

È vero, come accade ai bevitori del “vino buono”. Meglio il vino del contadino o una bottiglia di Barolo Rinaldi? Io so cosa scegliere ma c’è qualcuno che si ostina a rimanere attaccato al portafogli. Diciamoci la verità la crosta si attacca alle croste.

A questo punto dovrei portare, come minimo, almeno un esempio. Perdonatemi, non ce la faccio. La crosta non merita attenzione, va lasciata sola, al buio, impacchettata, senza ossigeno ad aspettare l’unica cosa che dovrebbe toccarle: andare a pezzi, perdendo ogni crosta.