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di Leonardo Piccinini

Rinascimento veronese

In 159 schede, divise per autori, Vinco riesce a tracciare un panorama davvero completo di questo genere pittorico in ambito veronese.

Era il 1915. Mentre il Kaiser consumava cannoni e soldati dalle Fiandre al Baltico alla Galizia, a Lipsia (allora una delle capitali dell’editoria europea) veniva dato alle stampe il fondamentale repertorio di Paul Schubring (il più grande esperto di pittura profana del Rinascimento italiano) dedicato ai “cassoni”: cofani nuziali, spalliere, pannelli da studiolo dei palazzi tra 4 e’500. In seguito, nel 1933, Schubring avrebbe giurato fedeltà al regime nazista per spegnersi poco dopo a sessantasei anni, non so se per un oscuro male o per la vergogna…

Cent’anni più tardi Mattia Vinco, storico dell’arte con particolare sensibilità per il Rinascimento veneto, ripartendo dalle intuizioni di Schubring e dall’ampia sezione (settanta dipinti) dedicata dallo studioso tedesco alle opere di tale tipologia realizzate a Verona (seconda solo a Firenze e a Siena), è riuscito in modo esemplare a indagare questo raffinato capitolo della storia dell’arte con il notevole Cassoni. Pittura profana del Rinascimento a Verona, edito da Officina Libraria. “Strumento di importanza capitale” lo definisce Andrea De Marchi nella bellissima, appassionante introduzione. Un volume la cui pubblicazione è resa possibile dal sostegno di alcuni antiquari (Frascione, Moretti, Altomani), ennesima testimonianza della vicinanza del mercato d’arte antica all’avanzamento degli studi storico artistici.

In 159 schede, divise per autori, Vinco riesce a tracciare un panorama davvero completo di questo genere pittorico in ambito veronese. Opere conservate in musei e collezioni private di mezzo mondo (di alcune si sono perse le tracce): narrazioni mitiche e favolose, dove “l’inconfessata nostalgia gotica, inevitabile forse nella città di Pisanello”, domina a lungo incontrastata. Tra le intuizioni e gli amori di Berenson, l’affascinante Sansone tradito da Dalila nel sonno, oggi al Poldi Pezzoli (Francesco Morone, 1515), era probabilmente testiera da letto. Come giustamente chiosa De Marchi, “chi dormirebbe tranquillo ai piedi di una simile effigie?”