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di Leonardo Piccinini

PREZIOSITÀ TORINESI

La mostra allestita fino al 3 giugno e curata da Giulio Ometto e Luca Mana, racconta i preziosi acquisti condotti negli ultimi anni per incrementare le raccolte.

Ci sono luoghi, nell’Italia spesso distratta o attenta alle mode, all’effimero, al già visto, nei quali si continua a investire nella conoscenza di una civiltà straordinaria, nel proporre eventi culturali caratterizzati da serietà, impegno e passione. È il caso dell’attività del Museo della Fondazione Accorsi-Ometto, che in via Po a Torino raccoglie l’eredità di un grande pioniere dell’antiquariato, perpetuandone il ricordo con nuove iniziative. In particolare, “Da Piffetti a Ladatte. Dieci anni di acquisizioni alla Fondazione Accorsi-Ometto”, allestita fino al 3 giugno e curata da Giulio Ometto e Luca Mana, racconta i preziosi acquisti condotti negli ultimi anni per incrementare le raccolte.

Numerosi gli aneddoti, che ogni opera porta con sé. Ricorda Renato Rizzo su La Stampa: “Carico di eleganza per le sue linee sinuose, ma anche testimone d’una storia d’amore e pragmatismo, il piccolo tavolo da centro. Era stato ceduto all’inizio degli anni ‘40 dall’antiquario Pietro Accorsi a una giovane signora che, mensilmente, si presentava in galleria per acquistare oggetti di grande valore pagando sempre in contanti e facendoseli recapitare in un appartamento nei pressi di corso Peschiera. Non prima di essersi sincerata che il mercante d’arte estendesse anche a lei la disponibilità a ricomprare, in ogni momento, qualsiasi pezzo uscito dalla galleria alla stessa cifra alla quale l’aveva venduto. Nel 1945, pochi giorni dopo la morte di un importante industriale, la signora si presentò compuntamente vestita a lutto: «Mi trasferisco in una casa più piccola e moderna. gli oggetti d’arte non mi servono più». L’antiquario riacquistò tutto a una cifra da capogiro: la donna in nero mormorò solo un piccolo «grazie». Il tavolino fu venduto ad altri clienti. Ora è tornato a casa”.


"L’antiquario riacquistò tutto a una cifra da capogiro: la donna in nero mormorò solo un piccolo «grazie». Il tavolino fu venduto ad altri clienti. Ora è tornato a casa”.


I nomi dei grandi del ‘700, Piffetti, Bonzanigo, Prinotto, ritornano anche in una mostra, di grande valore (su cui ritorneremo) dal 17 marzo al 15 luglio presso la reggia di Venaria. “Genio e maestria. Mobili ed ebanisti alla corte sabauda tra Settecento e Ottocento” promette di essere davvero memorabile per l’importanza dei pezzi esposti. Su tutti l’impressionante coro monastico realizzato a Torino nel 1740, rintracciato dal compianto Fabrizio Apolloni in una chiesa irlandese e riportato in Italia grazie all’impegno del figlio Marco Fabio, che ne ha sostenuto il restauro presso il celebre laboratorio di Venaria. Come ha scritto Roberto Antonetto, tra i curatori della mostra “la speranza è ora che non si allontani più dall’Italia”.