fondazione zeri

di Elisabetta Sambo

"Braun & Cie" nelle commissioni Lazzaroni

Fra le oltre 1.400 foto di grande formato conservate in fototeca avevo a suo tempo individuato una raccolta di circa 100 carboni della ditta Braun, omogenei nei supporti, nei formati e perfino nei soggetti, che presentano a loro modo una certa uniformità, raffigurando perlopiù Madonne con Bambino, scene sacre e ritratti del Rinascimento italiano, con poche escursioni al di fuori di questa epoca, e comunque tutti in linea con il gusto e le tendenze collezionistiche a cavallo fra Otto e Novecento. Tali affinità mi avevano indotto a supporre un'unica commissione che avevo fatto risalire al barone Michele Lazzaroni (1863-1934). Avendo di recente approfondito l'argomento, colgo questa occasione per dare conto in breve dei risultati di questa piccola ricerca, sia riflettendo sull'uso della fotografia da parte di un collezionista e mercante d'arte qual era stato il barone, sia cercando di fornire nuovi elementi circa la vicenda collezionistica di questi carboni, rivelatasi infondata l'ipotesi a suo tempo avanzata, ovvero che queste foto fossero giunte a Federico Zeri tramite Antonio Munoz; sia, infine, provando a fissare un probabile arco cronologico per queste stampe. (f.01) 

In merito al primo punto, si può notare che pressochè tutti questi carboni della nota maison francese conservati in fototeca sono incorniciati da ampi passepartout di cartoncino, spesso decorati da filettature a penna, un tipo di montatura assai comune per i disegni, ma soprattutto per le incisioni. Un'operazione quindi che, equiparando la stampa fotografica a queste arti grafiche tanto più antiche, la valorizza come oggetto da collezione e ne ribadisce il pregio artistico che già da tempo le è riconosciuto. Da parte sua Lazzaroni, nello scegliere questo particolare formato extra size assai costoso, doveva essere motivato da precisi intenti commerciali poichè una presentazione di lusso dei propri dipinti serviva per sottoporli a possibili e facoltosi acquirenti. Una strategia di promozione e pubblicità che completa l'immagine di un'attività piuttosto ambigua, quale sta emergendo dagli studi: il barone infatti spesso "aiutava" con eleganti restauri i quadri di modesta qualità oppure in un cattivo stato di conservazione al fine di sollevarli al rango di ricercati capolavori, soprattutto del Rinascimento italiano. (f.02)


Un'operazione quindi che, equiparando la stampa fotografica a queste arti grafiche tanto più antiche, la valorizza come oggetto da collezione e ne ribadisce il pregio artistico che già da tempo le è riconosciuto. Da parte sua Lazzaroni, nello scegliere questo particolare formato extra size assai costoso, doveva essere motivato da precisi intenti commerciali poichè una presentazione di lusso dei propri dipinti serviva per sottoporli a possibili e facoltosi acquirenti.


Stampe, quindi, queste Braun, da presentare, collezionare e forse regalare, e non materiale di lavoro, pieno di annotazioni e prezzi: un uso viceversa illustrato in questa sede da altri interventi. Lo stesso Lazzaroni, per la sua attività, utilizzava formati più piccoli e maneggiabili e differenti procedimenti di stampa di cui si riforniva presso diverse ditte: non solo carboni, ma anche albumine e gelatine, che nel corso degli anni saranno sempre più frequenti; non solo Braun, ma anche Giraudon, poi Bernès, Marouteau & C.ie, Bertrand Frères e infine Leroy Fils. La raccolta di Zeri conserva poche testimonianze di questo tipo, presenti in maggior numero presso la fototeca di Bernard Berenson a Villa i Tatti a Firenze, a ricordo, assieme a una ricca corrispondenza, del rapporto di collaborazione e di lavoro intercorso fra lo stesso Berenson e il mercante-collezionista.
È proprio ricorrendo a questa corrispondenza che acquista completezza la figura di Lazzaroni committente e fruitore di riproduzioni d'arte. Non solo per la memoria di continui acquisti, ordini e invii di fotografie, ma soprattutto per un giudizio critico sulla qualità delle stampe al carbone molto acuto e pertinente. In una lettera da Parigi del 14 dicembre 1911, il barone, annunciando la spedizione in un plico separato di una foto di un dipinto riferito ad Alessio Baldovinetti, raccomanda a Berenson cautela nella valutazione dell'immagine perchè, come capita spesso con i carboni Braun, essa risulta molto "floue". A Lazzaroni non sfugge il limite di un procedimento viceversa tanto decantato per l'inalterabilità e, soprattutto, per la fedeltà all'opera originale raffigurata: 'la viva e vera traduzione del capolavoro artistico', così ne aveva esaltato la qualità Adolfo Venturi nel catalogo generale delle stampe al carbone pubblicato dalla ditta nel 1887. È evidente invece come l'occhio esperto del barone sia disturbato da quell'effetto di morbidezza, che diventa quasi vellutata negli scuri, tipica di questo metodo, alla data della lettera ormai in competizione con i procedimenti ai sali d'argento in grado di produrre immagini di nitidezza tagliente fin nei dettagli. (f.03) 


In una lettera da Parigi del 14 dicembre 1911, il barone, annunciando la spedizione in un plico separato di una foto di un dipinto riferito ad Alessio Baldovinetti, raccomanda a Berenson cautela nella valutazione dell'immagine perchè, come capita spesso con i carboni Braun, essa risulta molto "floue". A Lazzaroni non sfugge il limite di un procedimento viceversa tanto decantato per l'inalterabilità e, soprattutto, per la fedeltà all'opera originale raffigurata


Quanto alle vicende collezionistiche di questo fondo, quel che resta, forse, dell'attività commerciale del barone (soggetti doppi, tanti particolari un po' casuali e in alcuni casi senza l'intero corrispondente, f.04), il passaggio dal primo proprietario a Zeri deve avere avuto poche intermediazioni, vuoi per le buone condizioni di conservazione che non indicano un uso e una manipolazione eccessivi, vuoi per l'assoluta mancanza di segni o annotazioni di qualsiasi genere, in particolare di proprietà.
Grazie a una notizia che devo alla cortesia di Dianne Dweyr Modestini, moglie di Mario Modestini, famoso restauratore che fu amico di Zeri, sembra che la raccolta di fotografie di Michele Lazzaroni - o parte di essa - sia stata acquistata presso suo figlio Edgardo dallo stesso Modestini e da Pietro Maria Bardi negli anni in cui erano soci dello Studio d'Arte Palma, aperto nel 1944 a Roma in piazza Augusto Imperatore. Ancora a Mario si deve il ricordo che Zeri avesse preso dallo loro galleria molte fotografie, fra cui verosimilmente queste, quando Bardi e Modestini la lasciarono per recarsi rispettivamente a San Paolo in Brasile, nel 1947, e presso la Fondazione Kress, nel 1949.

Per concludere, rimane da indicare quali possono essere state le date di scatto e di stampa di questi carboni, da ritenere pressochè coincidenti, dato il loro carattere di promozione commerciale. Non è sempre facile arrivare a tale precisazione, spesso in mancanza di informazioni esatte sull'epoca di acquisizione dei dipinti da parte di Lazzaroni. Nei casi in cui compaiano i timbri "Braun, Clèment & Cie" o "Braun & Cie", abbastanza frequenti sul recto o sul verso dei passe-partout, la data può essere circoscritta, a seconda dei cambiamenti della ragione sociale della ditta, fra l'inizio del secolo e il 1910 circa, in un caso, fra il 1910 e il 1930 circa, nell'altro. Talvolta sono però anche le vicende collezionistiche dei dipinti che soccorrono fornendo un ante quem. Un esempio è rappresentato da un Matrimonio mistico di santa Caterina documentato in fototeca da una stampa timbrata «Braun & Cie» (f.05). La tavola già Lazzaroni è giunta in America nel 1916 e approdata dopo vari passaggi all'Allen Memorial Art Museum (Oberlin), dove ora è ritenuta opera di Baldassarre Peruzzi, sul 1502-1503, avendo rivisto l'attribuzione che fu di Zeri a scuola del Pinturicchio: due elementi, il timbro e l'anno dellíapprodo oltreoceano, che assieme consentono di datare questo carbone fra il 1910 e il 1916. Un altro esempio piuttosto interessante e problematico è rappresentato dal Ritratto di un personaggio della famiglia Albizzi, di cui l'archivio Zeri conserva anche in questo caso un grande formato timbrato ”Braun & Cie" (f.06). Un suo passaggio di proprietà presso Lazzaroni non è attestato in bibliografia, ma è ricostruibile grazie a questa commissione fotografica. La tavola, attribuita a Francesco Salviati, è arrivata al Worcester Art Museum nel 1913 attraverso il mercato d'arte newyorkese e, prima ancora, parigino, dove è venduta in quello stesso anno da Sedelmeyer. Subito prima di tale data collocherei un breve transito di questo ritratto presso il barone, assai attivo sul mercato d'arte francese, piuttosto che a ridosso della precedente comparsa di cui si ha notizia, un'asta londinese Christie, Manson and Woods del 6 luglio 1901, dove figurava al lotto 58 del catalogo come opera di Sebastiano del Piombo. Se tale ipotesi è corretta, questa stampa dovrebbe risale a circa il 1910 - 1913.
Al di là dell'importanza di simili precisazioni, rimane la possibilità di intrecciare le vicende collezionistiche delle fotografie a quelle dei dipinti, con esiti tanto più interessanti quanto più queste ultime sono sconosciute o frammentarie; evenienze non rare nel caso dell'attività di Michele Lazzaroni, ancora in gran parte da indagare.


Pubblicato in "I colori del bianco e del nero. Fotografie storiche nella Fototeca Zeri 1870-1920" edito dalla Fondazione Federico Zeri.