Luca Mattedi*
Il Quattrocento fiorentino secondo Everett Fahy
Il 2021 è stato, tra le molte cose, anche il cosiddetto “Anno Zeri”. In occasione del centenario della nascita di Federico Zeri (1921-1998), infatti, la Fondazione che porta il suo nome - assieme ad altre realtà culturali italiane (Accademia Carrara di Bergamo, Museo Poldi Pezzoli di Milano e Musei Vaticani) - ha promosso una serie di iniziative volte a ricordare e a celebrare il grande conoscitore d’arte romano. Di pari passo, lo stesso 2021 ha visto l’istituto bolognese impegnato con grande profusione di energie in quell’attività che fin dal principio contraddistingue il suo pedigree e che potrebbe apparire secondaria al grande pubblico, ovvero la catalogazione delle migliaia e migliaia di fotografie di opere d’arte che vi si conservano.
La Fondazione Zeri, si sa, nasce in virtù del lascito testamentario di Federico Zeri, il quale decise di donare all’Università di Bologna il proprio archivio, che alla sua morte contava più di 290.000 fotografie. Queste, grazie ad un lavoro scrupoloso da parte dello staff bolognese, sono state inventariate, catalogate e digitalizzate, confluendo in quello che oggi è considerato il più importante repertorio online sull’arte italiana. Qualsiasi studioso di storia dell’arte, giovane o adulto che sia, considera questo database uno strumento di lavoro imprescindibile, di grandissima utilità, in quanto permette di reperire con un semplice click le informazioni basilari relative ad ogni singola opera catalogata (autore, tecnica, misure, collocazione etc…), di consultare le fotografie storiche ad essa collegate e di conoscere facilmente le opinioni che Zeri aveva al riguardo.
Le opinioni di Zeri, ma non solo di Zeri.
Perché, nel corso degli anni, la Fondazione ha acquisito diversi fondi fotografici appartenenti a studiosi (Luisa Vertova, Stefano Tumidei, Julian Kliemann, Robert Gibbs Ruth Jones), fotografi (Mario Berardi, Arrigo Coppitz, Ferruccio Malandrini), collezionisti e antiquari (Luigi Albrighi, Marcello Violante), i quali, attratti dall’enorme potenziale della banca dati, hanno scelto di destinare i propri archivi all’istituzione bolognese. Questi nuclei, sebbene numericamente più esigui rispetto a quello di Zeri, data la preziosità e la rarità dei materiali che conservano forniscono importanti spunti per la disciplina, integrando la documentazione già esistente con nuove immagini e informazioni via via più aggiornate. Con un patrimonio che sfiora attualmente le 450.000 fotografie, la Fondazione pertanto si configura sempre più come un ideale repository per fondi fotografici legati alla storia dell’arte e alla conservazione del patrimonio culturale.
Ma torniamo ora all’anno 2021. Tra i traguardi tagliati nell’anno che ci siamo lasciati alle spalle vi è anche la conclusione di un intervento di catalogazione che ha coinvolto il nucleo principale del fondo fotografico di Everett Fahy (1941-2018), noto storico dell’arte statunitense a lungo alla direzione di istituti di primo piano come la Frick Collection e il Metropolitan Museum di New York. Il progetto di catalogazione di oltre 10.500 fotografie, iniziato nel 2018, si è focalizzato sul fiore all’occhiello di questa raccolta, vale a dire la documentazione relativa alla pittura fiorentina del XV secolo, di cui Fahy è stato uno dei massimi conoscitori. I materiali offrono una puntuale panoramica sul patrimonio artistico del capoluogo toscano - oggi in parte disperso in musei e collezioni di tutto il mondo - molto più ampia e aggiornata rispetto alla Fototeca Zeri. Moltissime sono le fotografie provenienti da case d’asta o da collezionisti, che si rivolgevano a Fahy per consulenze ed expertises.
I fascicoli toccano, senza alcuna eccezione, tutti i protagonisti della produzione artistica cittadina del secolo in questione, da Lorenzo Monaco al Beato Angelico, da Masaccio a Filippo Lippi, da Botticelli a Lorenzo di Credi e Piero di Cosimo, fino alla personalità che più ha affascinato lo studioso nel corso degli anni, ovvero Domenico Ghirlandaio. Il repertorio fotografico sul noto maestro fiorentino è di rara vastità, e si compone di ben 1.500 immagini raccolte in 19 contenitori, insieme ad appunti, bozze di articoli, lettere e documentazione di altro genere. Non mancano poi i fascicoli intestati ai pittori minori e agli anonymous, poco considerati dalla critica ma che invece avevano destato in Fahy un forte interesse fin dai tempi della sua tesi di dottorato, discussa a Harvard nel 1968 e dedicata, appunto, ai “followers” di Ghirlandaio: il Maestro di Apollo e Dafne, il Maestro del tondo Borghese, della Madonna Naumburg e tanti altri ancora.
L’archivio fotografico di Fahy va insomma a integrare perfettamente la fototeca di Federico Zeri, sia nella sua versione analogica, sia in quella digitale. I dati catalografici e le nuove immagini digitalizzate confluiscono nello stesso database, aggiornando le informazioni già esistenti (ad esempio con indicazioni più aggiornate sulla bibliografia, sui passaggi antiquariali o sull’attuale localizzazione dei dipinti), e arricchendo le schede con una documentazione fotografica più recente e particolarmente ricca di dettagli, quest’ultimi pressoché assenti tra le foto di Zeri. Allo stesso tempo, pur confluendo nell’unico catalogo della Fondazione, la raccolta non perde la sua identità di fondo di persona, ed è anzi in grado di comunicare il punto di vista – “l’occhio” appunto – del soggetto che lo ha prodotto, il suo pensiero storico-critico, trasmesso inoltre dalla sua personale classificazione e dalle numerosissime annotazioni autografe presenti sui versi delle foto. Un ulteriore motivo di interesse dell’archivio consiste nell’essere stato probabilmente uno degli ultimi esempi di una tradizione culturale che vedeva nelle raccolte fotografiche gli strumenti essenziali della pratica attribuzionistica. Sulle orme di Federico Zeri, che aveva incontrato a Cambridge negli anni Sessanta, Everett Fahy è stato uno degli ultimi studiosi ad aver collezionato una mole così consistente di riproduzioni analogiche, organizzandole in un fondo perfettamente ordinato che, al momento della donazione alla Fondazione, contava quasi 40.000 foto e altrettanti documenti cartacei. Un tool, questo, definitivamente sostituito dalle migliaia di file digitali che oggi intasano gli hard disk degli addetti alla disciplina.
In ragione di questo interesse - insieme scientifico, storico e storiografico - l’istituzione bolognese intende proseguire nella valorizzazione di questa eccezionale (nel vero senso della parola eccezione) collezione, estendendo l’intervento catalografico alla pittura fiorentina del Cinquecento, con l’obbiettivo di renderla open access entro l’anno corrente.
Insomma, che il 2022 sia – preferibilmente in questa sola accezione – come il 2021.
*Fondazione Federico Zeri, Università degli Studi di Bologna