cronache uffici esportazione

Giulio Volpe*

Circolazione dell'arte. Quali criteri per la ripartenza

La piazza principale del mercato artistico italiano assiste impotente alla condanna dei beni (ove non bastasse quella delle persone) ad una soffocante immobilità.

Quella che segue è l’avvertenza in cui si imbatteva di questi tempi chi volesse tentare di depositare a Milano una richiesta per il rilascio di attestato di libera circolazione in relazione a un bene di interesse storico artistico, ai sensi dell’art. 68 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio.


"Avviso UFFICIO DI ESPORTAZIONE DI MILANO

A causa dell’eccessivo numero di richieste per il rilascio degli attestati di libera circolazione, l’Ufficio Esportazione di Milano è temporaneamente escluso da quelli accessibili. Si invita pertanto a presentare le suddette richieste in altro Ufficio. "


Non ci sentiamo di farne una colpa all’Ufficio Esportazione in questione, ma questo è il segnale di una evidente e perdurante disfunzione, che si manifesta in un clamoroso disservizio al cittadino.
La piazza principale del mercato artistico italiano assiste impotente alla condanna dei beni (ove non bastasse quella delle persone) ad una soffocante immobilità.  
A questo proposito, ricordo che in tempi non lontani una mole di pratiche di tal genere furono riversate dal soppresso ufficio omologo di Pisa a quello di Milano, tanto che una semplicissima (e sulla carta, almeno in un paese normale, pressoché automatica) pratica di rinnovo di un CAS (certificato di avvenuta spedizione), coinvolta da questa riallocazione, ha richiesto la bellezza di un anno per potersi concludere.


Si rivela dunque indifferibile, su questo punto, una rifondazione nella prassi degli uffici esportazione, posto che i tempi lunghi della burocrazia italiana non sono compatibili con una società globalizzata (lo si voglia o meno) che inevitabilmente raffronta, nelle procedure dei diversi paesi, i parametri di valutazione e i tempi tecnici di svolgimento.  
Nel resto d’Europa le opere circolano senza troppi indugi, mentre in Italia, per una sorta di conservatorismo ancestrale cui si sovrappone una dilagante burocrazia, miriadi di vecchi oggetti d’uso comune o moltissime creazioni artistiche di scarso valore e importanza devono comunque essere fisicamente esaminate da apposita Commissione di un Ufficio Esportazione, generando un sovraccarico di lavoro che produce inevitabile distrazione dei funzionari delle Belle Arti, spesso molto competenti, dalle opere che davvero contano e da quella azione di tutela, intensa ma plausibile, che dovrebbe loro competere in via esclusiva.   
Si aggiunga a questo, come effetto collaterale esiziale per il destino della intera classe antiquariale e per la credibilità del settore nel nostro Paese, che i termini fissati dalle norme di legge, ad esempio i 40 giorni per il rilascio o il diniego dell’attestato di libera circolazione, o i 90 giorni per decidere su un ricorso amministrativo gerarchico, vengono molto spesso -lo riscontro nell’esercizio quotidiano della mia professione- ampiamente trasgrediti.


Auspichiamo, a questo punto, che il duro colpo inferto al Paese dal virus valga se non altro a stimolare un cambio di passo. In ordine alla recente riforma italiana, si attende l’applicazione del criterio della c.d. “soglia di valore” fissata in euro 13.500, dunque ben poco preoccupante -anzi, a ben vedere del tutto innocua- rispetto a soglie dieci volte superiori riscontrabili nella disciplina comunitaria e internazionale o in alcuni ordinamenti interni di importanti paesi europei.
A questi fini, ci si chiede a che punto sia l’adeguamento del Sistema Informativo degli Uffici Esportazione, che era destinato ad ultimarsi entro il 31 dicembre 2019 e che sarebbe teso al controllo generalizzato delle dichiarazioni di non assoggettabilità all’attestato di libera circolazione, vale a dire delle autocertificazioni.
A questo punto, alzando il tiro, in estrema ipotesi non escludo si possa perfino, quantomeno in prospettiva, contestare la asserita necessità dell’automatico avvio del "procedimento di dichiarazione" (per l’apposizione del c.d. “vincolo” sul bene) ogniqualvolta si emetta diniego dell'attestato di libera circolazione.  
Tale automatismo (ex art. 68, comma 6, del Codice dei beni culturali e del paesaggio) infatti, finisce per compromettere anche la circolazione del bene entro i confini nazionali -che pure resta perfettamente lecita sia pure a fronte di un diniego al rilascio di attestato- con conseguente grave vulnus per un patrimonio privato già fortemente penalizzato dal diniego stesso, quando non ve ne sarebbe in molti casi la stringente opportunità.


Infine, in linea con la voluntas legis sottesa alla riforma sopra citata, ovvero con la innegabile ratio  di semplificazione che motivava nella riforma di cui sopra anche la sostituzione della circolare del 13 maggio 1974 contenente criteri assai elastici per la valutazione degli uffici esportazione sulle opere,  occorre chiedere che tale spirito informatore dei nuovi criteri di valutazione di cui al decreto ministeriale del 6 dicembre 2017 non venga tradito nella prassi, soprattutto esigendosi che alla base di un diniego -come alla base di un vincolo- vi sia un nesso inscindibile ed irrinunciabile con un contesto storico artistico individuato e la inequivoca e motivata constatazione che il bene in questione sia davvero elemento essenziale per il patrimonio storico artistico della Nazione.


*Avvocato, Esperto in circolazione delle opere d’arte
Docente di Legislazione comparata dei beni culturali (Università di Bologna)