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Ritorni

I nostri affanni

In occasione della prossima XXVIII Biennale dell'Antiquariato di Firenze, una delle mostre collaterali avrà come tema un argomento estremamente importante: il ritorno in Italia, dall'estero, di numerose opere d'arte.
L’esposizione intende smentire un luogo comune che ha influenzato il giudizio sul mercato dell'arte in Italia e che tuttora, nonostante le dimostrazione di quanto gli antiquari italiani hanno fatto per il patrimonio culturale del nostro paese, ancora persiste presso l'opinione pubblica meno avveduta: quello che gli antiquari abbiano disperso, e continuino a farlo, il patrimonio artistico italiano. Purtroppo questa convinzione è condivisa anche da taluni funzionari dei ministeri, i quali confondono il mercato dell'arte ufficiale con il parallelo mercato clandestino vero responsabile del depauperamento del patrimonio pubblico e non distinguono l'opera preziosa, incisiva e ormai duratura svolta dai mercanti italiani, impegnati a recuperare dal resto del mondo opere d'arte di grande importanza per il nostro paese. Una dispersione delle opere d'arte italiana avvenuta nei secoli passati, quando i nobili di mezza Europa si dedicavano al proprio acculturamento e avevano il fortissimo desiderio di possedere opere che all’epoca si trovavano ancora in Italia e per lo più libere da vincoli conservativi; oppure a opere che venivano eseguite da artisti italiani espressamente per questi straordinari visitatori che genericamente chiamiamo i viaggiatori del Grand Tour. Le città italiane, durante il secolo XVIII, erano fucine di creatività artistica, e il flusso di dipinti e sculture provenienti dall'Italia invadeva, come sopra detto, il resto di Europa. La tradizione di attingere dal “Bel Paese” oggetti d'arte eccellenti, era una conseguenza della straordinaria importanza che dal Rinascimento l'Italia aveva assunto in Europa come guida alle arti. Era inevitabile perciò che anche gli artisti stranieri che venivano in Italia per una formazione più ampia delle proprie capacità artistiche, ritornassero in patria portando opere di scuola italiana.
Vale la pena ricordare, a questo proposito, quanto detto nel 1820 dal Cardinale Pacca, nel famoso editto che citava testualmente, riguardo alle opere esistente nella città di Roma: ” ...attraggono gli stranieri ad ammirarle, invitano l'erudita curiosità degli antiquari ad istituirne dotti confronti, e infiammano la nobile emulazione di tanti artisti, che in ogni parte di Europa quivi concorrono per far lo scopo del loro modello.”
Si deve, inoltre, sottolineare che il gusto italiano che dominava le corti europei sollecitava il collezionismo delle grandi monarchie e anche delle potenti famiglie che a vario titolo facevano parte delle grandi corti; inoltre la politica anticlericale, dell'ultimo scorcio del secolo XVIII, riconfermata da Napoleone e dai sovrani della restaurazione, aveva provocato la dispersione di secoli di apparati ecclesiastici più o meno importanti, cosicché una grande quantità di opere era finita in vari paesi dell'Europa. Quando poi, su finire del Ottocento, un nuovo flusso di visitatori riempì il vecchio Continente dagli Stati Uniti e dal Inghilterra, la frenesia del collezionismo internazionale sconvolse l'Europa. I grandi musei europei ed internazionali facevano a gara a procurarsi opere d'arte italiana: Bardini,Volpi ed altri grandi mercanti italiani si adoperavano per accontentare la clientela straniera, non solo con opere pittoriche o scultoree di elevata importanza, ma inventando un vero e proprio stile eclettico fatto di creatività ricostruttiva di mobilia e di oggetti di grande arredamento, per lo più assolutamente fantasiosi.
Dal secondo dopoguerra, ebbe inizio uno straordinario recupero delle opere d'arte italiane all'estero e ciò per merito degli antiquari italiani che capirono, con tempestività, quali enormi prospettive di collezionismo potevano avere le nuove classi industriali italiane che partecipavano con entusiasmo alla nuova ricostruzione del paese semidistrutto dalla guerra.
Pur avendo vinto la seconda guerra mondiale, infatti, gli inglesi e gli americani smantellavano molte delle proprie raccolte, così che sul mercato inglese e americano riapparvero tante di quelle opere che abbiamo descritto sopra: i prezzi erano più che abbordabili, la quantità e vastità del materiale artistico in vendita era impressionante. I vecchi antiquari attivi sul mercato inglese raccontano che nelle gallerie di Londra i dipinti erano accatastati contro le pareti con cifre varianti da 1 a 5 sterline al pezzo: così le opportunità che si aprivano di formare nuove raccolte e nuovi collezionisti furono percorse con acume e competenza dagli antiquari italiani, con modalità che tuttora perdurano.
Con la presente mostra, dunque, vogliamo indicare anche ad un pubblico non consapevole la straordinaria attività che gli antiquari hanno svolto nel recupero di oggetti e beni di antiquariato, così da prendere atto che l'arte non ha confini, a dispetto di certe chiusure e rigidità che negano e oscurano quanto la creatività dell'uomo riesce a concepire.
La cultura è scambio, ma se dei dettami del cardinale Pacca vogliamo cogliere solo gli aspetti eminentemente repressivi, la cultura non ne trarrà mai motivo di accrescimento.
Ci riteniamo perciò meritevoli di apprezzamento per aver organizzato questa mostra collaterale non solo in occasione della Biennale dell'Antiquariato di Firenze, ma per essere riusciti a presentarla - in accordo con la direzione del Museo Bardini, che qui ringraziamo nella persona della direttrice Antonella Nesi - negli stessi ambienti che il celebre, e qualche volta vituperato, Stefano Bardini aveva donato alla fine della sua vita, ambienti colmi di larghissima parte della sua raccolta. E non saremmo sorpresi di vedere ritornare, proprio in quelle stanze da dove erano partiti. Opere d'arte che nel mutar dei tempi hanno trovato la strada del ritorno.

07.2013