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Le città d’arte senza gli antiquari

I nostri affanni

In questi ultimi anni gran parte dell’attività dell’Associazione è stata svolta per relazionarsi alle autorità ministeriali, cercando di far capire i punti di vista della categoria in funzione di legislazioni sul patrimonio culturale italiano prima, durante e dopo i vari decreti che aspettavamo fossero sul punto di essere organizzati. Fino dall’inizio degli anni ‘90 incontri ministeriali a livelli diversi sono stati promossi dalla nostra Associazione, perlopiù in collaborazione con la Fima, proprio per dare ai colloqui una rappresentatività numerica che potesse avere un certo peso nelle discussioni. La qualità della nostra Associazione, garantiva oltre a quanto si è detto, l’eccellenza e quindi la doppia articolazione complessiva assicurava l’autorevolezza della categoria nel dialogo con gli organi ministeriali. Non solo ma i contatti con i Carabinieri, del Nucleo prima e del Comando poi, preposti alla Tutela faceva sperare in un accoglimento delle istanze antiquariali o perlomeno di una attenta considerazione. In effetti la gentilezza e la apparente cordialità dimostrata dagli organi amministrativi e della tutela è sempre stata ineccepibile, come conviene sempre alla politica nei dialoghi con categorie che, pur essendo rappresentative di interessi generali cospicui (anche se non considerato adeguatamente il patrimonio culturale italiano costituirebbe una delle primissime risorse del paese), non ha tuttavia un peso politico così forte perché determinato da un numero non considerevole di operatori. Questo, si pensi tuttavia, in un’ottica miope che non tiene conto della ricaduta immensa sul patrimonio lavorativo (in Toscana per esempio ci sono 99 attività da porsi in relazione con il Mercato dell’arte con circa 30.000 occupati cioè a dire la seconda industria toscana, a quanto risulta da un indagine promossa dall’Associazione Antiquari d’Italia con il supporto della Camera di Commercio di Firenze e pubblicata con l’analisi dei dati da Giuseppe Turani). In realtà purtroppo abbiamo fatto la figura di coloro che predicano nel deserto, molto spesso non ascoltati e anzi considerati assolutamente figure prive di quella capacità politica che muove sotto sotto i vari interessi. Questo è vero, ma ognuno faccia il suo mestiere! Noi rivendichiamo alle nostre associazioni di categoria la capacità di conoscere taluni aspetti, quelli che riguardano il Mercato, assai meglio di quanto non venga fatto da gran parte degli organi legislativi e se è pur vero che un legislatore deve aver presente l’interesse generale e complessivo di talune problematiche, è altresì pur vero che la conoscenza approfondita di aspetti che contribuiscono a una maggiore chiarezza dovrebbero essere tenuti in debito conto.
Nell’attuale crisi globale emerge fortissima l’esigenza di legislazioni concordate tra i vari paesi per impedire il flagello più grave: il protezionismo. Ancora in Europa noi mercanti italiani siamo le cenerentole di un sistema protezionistico che non ha uguali. Abbiamo dimostrato attraverso una recente indagine condotta da Nomisma, che il numero delle opere trattenute dall’Ufficio addetto all’esportazione è l’1% del totale presentato. Questo dato dovrebbe far riflettere sull’assurdità dell’intero apparato addetto alle verifiche per l’esportazione e indurre a modificare questa forma di controllo che oltre ad essere inutile danneggia in maniera molto pesante non solo il Mercato dell’arte ma tutto l’indotto analizzato da Giuseppe Turani. Di fatto i grandi collezionisti internazionali, gli architetti d’interni (quelli che nel mese di febbraio hanno spopolato a Parigi alla vendita di Yves Saint Laurent) o semplicemente i turisti colti che un tempo ci visitavano, stanno ora alla larga dalle nostre botteghe perché conoscono le inaudite lungaggini e difficoltà burocratiche per esportare anche un modesto souvenir. E fino a oggi nonostante i ripetuti incontri, da Mario Serio fino all’attuale Roberto Cecchi, Direttori Generali di un apparato così poco attento e così poco rispettoso di un’attività che meriterebbe la loro massima attenzione, non abbiamo avuto segnali né un seguito fattivo alle proposte e alle osservazioni fatte dagli antiquari, i quali invece appartengono autorevolmente all’ecosistema dei Beni Artistici e Culturali del nostro paese. La delusione e lo scoramento che talvolta ci prendono non devono tuttavia farci desistere, nella speranza di trovare un politico attento, colto e finalmente sensibile ai problemi del Mercato dell’arte, che sta vivendo, lo rammentiamo, in Italia uno dei momenti più difficili, con centinaia di botteghe che stanno chiudendo, anche in virtù di questa apatia e di questa colpevole indifferenza.

03.2009