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di Antonio Paolucci

"Il Museo dei Musei"

Antonio Paolucci nuovo Direttore dei Musei Vaticani

Essere direttore dei Musei Vaticani significa governare non un museo ma il "museo dei musei". Non è solo questione di antichità (si colloca nel 1506 con Giulio II la fondazione) o di internazionale notorietà dal momento che in tutto il mondo - dalle Filippine alla Polonia, dalla Nuova Zelanda al Canada tutti sanno che il Papa possiede i capolavori più belli e più preziosi. E questione di onnicomprensività e di universalità. Perché nei Musei Vaticani c'è tutto ma veramente tutto. Non solo Michelangelo e Raffaello, l'Apollo di Belvedere e il Laocoonte, la statuaria classica del Pio-Clementino e la rappresentazione d'Italia nella Galleria delle Carte Geografiche, i sarcofagi paleocristiani e gli armadi del Valadier, i vetri dorati tardo antichi e le sculture egizie del canòpo di Adriano, i vasi etruschi e gli avori carolingi, le lacche cinesi e i manufatti degli indiani d'America, l'arte contemporanea e l'oreficeria gotica, Giotto, il Beato Angelico e il Pinturicchio, Caravaggio e Guido Reni.
Entrando nei Musei Vaticani uno capisce che quello che vediamo è "speculum mundi". Riflette come in un microcosmo la Bellezza che ha attraversato come un fiume benefico e provvidenziale le vicende degli uomini. Capisce anche che la Chiesa Cattolica, attraverso i secoli, ha preservato la memoria delle culture e delle civiltà e ha favorito e onorato il genio degli artisti, inteso come prezioso dono di agio.
I Musei Vaticani sono una macchina grandiosa che “lavora" ogni anno più di 4 milioni di visitatori ed è servita da cinquecento persone: custodi, restauratori, personale amministrativo, funzionari delle più diverse specializzazioni. Gente che lavora con passione e con orgoglio ed anche in relativa tranquillità perché all'ombra del Cupolone (scoperta per me entusiasmante) non c'è il T.A.R. e non ci sono i sindacati!...
Per me, funzionario per lunghissimi anni dei Beni Culturali, Soprintendente in mezza Italia e, per un breve periodo Ministro, entrare negli Uffici di Oltretevere ha significato, in un certo senso, tornare alle origini della mia e della nostra storia. Perché la legislazione di tutela che oggi ci governa è nata per volontà dei grandi papi del passato. E’ stato Leone X Medici ad affermare per primo, nel 1515, che la potestà sul patrimonio deve accompagnarsi alla competenza tecnica. Fu lui infatti a nominare Raffaello Soprintendente alle Antichità di Roma. E ancora, in tempi più vicini a noi, fu il cardinal Pacca, nel 1820, ad affermare il principio della universalità della tutela che deve estendersi su tutto il patrimonio, ovunque distribuito e comunque posseduto. Dobbiamo alla Chiesa di Roma l'istituto altamente illiberale, però provvidenziale, della notifica d'insieme. Se oggi esistono ancora a Roma le ultime quadrerie intatte dell'antico regime (la Colonna, la Doria Pamphili, la Rospigliosi-Pallavicini) perché l'istituto giuridico del “fidecommesso" ha impedito nei secoli divisioni ereditarie, vendite, dispersioni.
Oggi i tesori dei Musei Vaticani sono gestiti con criteri legislativi e tecnici non diversi da quelli vigenti in Italia ma non dobbiamo mai dimenticare che alla base delle nostre normative, c'è stata la sapienza e la lungimiranza dei romani pontefici.

02.2008