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Chiamiamo le cose col loro nome

I nostri affanni

La standardizzazione del linguaggio sembra essere diventata una prerogativa della civiltà contemporanea, la semplificazione con la quale a qualunque livello i giovani si esprimono l'un l'altro è significativa di un desiderio di accelerare i tempi della comunicazione. Sarà per la necessità di esprimere in modo estremamente diretto il proprio sentire, sarà per l'assuefazione ad un modo di trasmettere messaggi pubblicitari che, studiati ed elaborati in modo appropriato, debbono colpire nel segno fatto sta che il modo di esprimersi sembra oggi farsi portatore di una volontà di ridurre il vocabolario a quelle poche parole che servono all'immediato. Però così facendo si riduce grandemente la possibilità di esprimere sentimenti ed emozioni, cancellando sfumature e differenze e diamo a una sola parola il potere di significare modi e definizioni le quali nella loro versatilità riuscivano a rappresentare le diversità che categorie similari debbono conservare per una esatta comprensione dei significati. Per esempio parlando di argomenti che ci interessano da vicino, gli oggetti d'arte antica vengono così definiti, nel parlare comune, intendendo i prodotti della creatività umana: se però dobbiamo analizzare correttamente e in modo da rendere comprensibili i diversi aspetti artistici è d'obbligo cominciare a selezionare e a classificare e così facendo a definire in modo diverso i vari movimenti, le varie tipologie e principalmente, secondo criteri comuni, i valori. Quando infatti sentiamo parlare di mostre di antiquariato in località, o come oggi si suole dire in locations, le più disparate in ambienti improvvisati, con manufatti che si possono considerare merce piuttosto che oggetti d'arte, viene immediatamente fatto di pensare che, in tal caso, la definizione non sia calzante perché non attiene al concetto di una mostra di antiquariato vera che si concentra in una sede appropriata e con opere eccellenti e significative. Quando poi alle istintive riserve iniziali si accompagna la visione di tali sedicenti mostre, allora la diffidenza del primo impatto lascia il posto alla indignazione e al desiderio di ripristinare i limiti del gusto e della qualità. Perché poi la confusione viene ingenerata anche da una sorta di avvallo che molto impropriamente amministratori locali di smodata ambizione ma di ristrette vedute conferiscono a manifestazioni che hanno perduto, o che non hanno mai avuto, attributi tali per essere considerate Mostre di Antiquariato. Confusione che ancor più è alimentata dalla superficialità degli organi di informazione che molto spesso affidano la recensione a persone assolutamente impreparate a distinguere la qualità non solo degli espositori ma purtroppo anche di ciò che è esposto. E per tornare alla osservazione d'inizio, se il linguaggio critico viene mortificato da parole iperboliche o comunque riduttive di quella possibilità di definire le diversità, come potranno osservatori che si avvicinano col desiderio di conoscere, o comunque di distinguere, crescere e affinare il gusto e in definitiva come potranno in seguito diventare clienti accorti e collezionisti di qualità? In fondo sarebbe molto più efficace ed onesto chiamare le cose con il loro vero nome; mostre come quella di Arezzo in piazza Grande o quella di Lucca nella seconda domenica del mese, sono più coerenti perché presentano le cose per quello che sono: un insieme di cose smesse dove per l'occhio attento ed esercitato può uscire anche qualche sorpresa, ma che comunque non hanno la velleità di rappresentare nient'altro che un artigianato in disuso che può ritrovare ospitalità in una casa da dove era stato frettolosamente cacciato e talvolta con costi inferiori agli arredi Ikea. Queste riflessioni ci vengono visitando le mostre estive che proliferano nelle località di villeggiatura per catturare accaldati e radi visitatori accolti da ciondolanti personaggi che presentano mercanzie di indefinibile epoca e provenienza con uno scilinguagnolo degno del più abile venditore di grasso di marmotta e quindi potrebbe essere più il lato comico a stimolare queste considerazioni. Ma prende il sopravvento anche il senso del dovere e della chiarezza per cercare di riportare le cose nei giusti rapporti violentemente alterati da frasi fatte con parole usate a sproposito.

10.2006