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Mostre e Botteghe

Analisi di un fenomeno incontrovertibile

In occasione della XXIII Biennale di Firenze, il ricordo va rapidamente alla prima quella del 1959 allorché fu lanciata una sfida veramente azzardata al Mercato Internazionale che in qualche modo dava segni di tempi nuovi. La capacità degli Antiquari di accorgersi che nuove richieste di oggetti d’arte provenivano dalle nuove categorie economiche emergenti, fece si che la Mostra di Firenze divenisse in qualche modo il veicolo più consono per avvicinare una grande quantità di nuovi appassionati a quello che prima sembrava patrimonio di pochi fortunati. Accanto alle realtà economiche di nuova formazione che riuscirono a trasformarsi in grande serbatoio di collezionismo la Mostra di Firenze, con il successo dell’iniziativa, fu anche in grado di generare accanto ai mostri sacri dell’Antiquariato, il crescere e il fortificarsi di giovani antiquari che altrimenti non avrebbero avuto la facilità di farsi conoscere. Il tempo fu scelto accuratamente perché lo sviluppo industriale del nostro paese si saldava con le necessità di rappresentazione di una classe sociale in rapida ascesa. Contemporaneamente a questi primi tentativi di modificare il rapporto fra Mostra pubblica e negozi c’era molto scetticismo sia da parte dei mercanti che dei collezionisti. Pochi gli espositori fiorentini alla prima Biennale del ’59 proprio perché avvertivano un certo disagio a presentare pubblicamente le proprie opere che per tradizione venivano offerte nel chiuso delle botteghe e nella più totale riservatezza. Il successo della Mostra fiorentina però creò pronti imitatori; le proposte che venivano fatte nelle grandi mostre antiquarie rappresentavano molto bene lo stato del Mercato dell’arte così come era negli anni ’60. Di fatti sfogliando i cataloghi di queste prime rassegne possiamo avere la conferma che le cose illustrate si rifacevano ancora al gusto della prima metà del Novecento con abbondante offerta di primitivi, di mobili veneziani e francesi e di tutto il repertorio delle arti applicate in voga in quegli anni. In seguito il proliferare incontenibile delle Mostre, in particolare quelle nei piccoli centri, spesso inutili e devianti, fatte per compiacere l’ambizione e la mancanza di fantasia di modesti assessori provinciali, snaturavano il rapporto dei visitatori delle Mostre e delle botteghe, a vantaggio bene inteso delle prime con la conseguenza di rendere le botteghe sempre meno visitate.
A questo punto però mostre prestigiose, come quelle dei grandi centri italiani, cominciarono a declinare a causa di un’offerta troppo disordinatamente affollata e conseguentemente priva di quelle garanzie necessarie a tutelare l’acquirente. L’accumulo di oggetti presentati e la pletora di stands nei palazzi espositivi finivano con lo stancare i visitatori che si affollavano tuttavia in questi faticosi percorsi. A questo punto alcuni antiquari pensarono di modificare la propria presenza a queste manifestazioni e cominciarono a rendere i propri stands veri e propri concentrati di oggetti qualitativamente selezionati presentati con cataloghi o schede scientifiche fatti da specialisti. Questa linea nel tempo è risultata vincente tanto che oggi le rassegne antiquarie serie la seguono ed è consueto che in occasione dei grandi appuntamenti espositivi gli antiquari predispongano preziosi cataloghini elaborati da storici delle singole discipline, portando alla luce inediti destinati alla conoscenza e alla ricerca. E’ chiaro che questo tipo di manifestazione è in linea con la frenesia del nostro tempo che deve essere consumato rapidamente in ogni rito da quello privato a quello pubblico; pertanto mostre con un’ottantina di espositori, numero medio di queste manifestazioni, consentono al collezionista, al decoratore o comunque al visitatore, nello spazio di poche ore di visionare opere che altrimenti richiederebbero molto più tempo. Questo aspetto è pertanto assolutamente vincente ed imbattibile quando viene lamentata la diminuzione dei visitatori nelle botteghe antiquarie perché la mancanza di tempo e alternative di interesse diverse, impediscono alla clientela la visita nei negozi di antiquario anche nella propria città. Accade ciò che era paventato da coloro che agli inizi opponevano resistenza a questo tipo di manifestazioni prevedendo quanto le botteghe avrebbero sofferto soppiantate dalle mostre e dalle mostrette. Sembrerà curioso che questa analisi venga fatta nella pagina di un’Associazione che vede i propri membri assidui espositori delle mostre fin qui esaminate; c’è da dire però che l’impegno di questa Associazione è che i propri associati partecipino alle Mostre organizzate direttamente dall’Associazione (Palazzo Corsini, Palazzo Venezia) e Internazionale di Milano organizzata dalla Fima. Mostre che si distinguono nel panorama internazionale per la serietà e la garanzia delle opere poste in vendita e per l’avvallo delle Istituzioni. Il problema del ritorno nelle botteghe è perciò molto difficile, ma siamo consapevoli che il nucleo delle botteghe antiquarie nelle città d’arte (Firenze, Roma, Milano, Napoli ecc.) è un patrimonio di civiltà e d’arte assolutamente da tutelare alla pari dei Musei, delle chiese e delle Fondazioni.
Se da una parte avvertiamo nella sensibilità delle Soprintendenze e negli organi di tutela più avveduti comportamenti collaborativi (del tipo Commissione Preventiva di esame delle opere destinate all’esportazione nella Mostra di Palazzo Corsini a Firenze dove l’espositore sa nella stessa giornata della visita della Commissione l’esito della sua richiesta), dall’altra percepiamo negli organi amministrativi locali la più totale insensibilità di capire e di valorizzare questo formidabile patrimonio, che se affidato a sapienti comunicatori potrebbe divenire un richiamo straordinario per il turismo colto internazionale. Così come Palazzo Strozzi o Palazzo Vecchio, il Museo Bardini o il Museo Horne sono pubblicizzati nei loro itinerari di visita anche le botteghe antiquarie dovrebbero rientrare in un programma di conoscenza di questa realtà sconosciuta ai più. 

10.2003