GRAZIANI, Irene
Cinisello Balsamo, Silvana, 2019. Cm. 17x24, pag. 111, fig. a col e in nero, br
Bologna, estate del 1770: tre artisti inglesi vengono premiati con l’aggregazione ad honorem all’Accademia Clementina. Sono l’irlandese James Barry, lo scultore Joseph Nollekens – entrambi solo di passaggio durante il viaggio di ritorno in patria dopo il soggiorno di studio a Roma – e il pittore William Keable, l’unico a risiedere in città da ormai un lustro. Affermato ritrattista, oggi divenuto raro e poco noto, quest’ultimo suscita sconcerto per la condotta di vita non timorata, per lo scarso rispetto delle tradizioni artistiche («sprezzava li Professori di pittura», Marcello Oretti), e continua a professare fedeltà alle radici culturali britanniche, che lo accomunano a Joseph Highmore nella schietta e rude aderenza al vero.
Diversi sono i percorsi degli altri due connazionali che, rientrando a Londra, dimostreranno la centralità dell’esperienza italiana e romana. Barry con il suo Filottete, inviato in dono qualche mese dopo alla Clementina in segno di ricompensa: un exemplum doloris ideato come risposta al modello insuperato del Laocoonte del Belvedere; un «incunabolo» per la storia del Neoclassicmo (Giuliano Briganti), in cui l’eroe acheo dà prova della propria solitaria sopportazione misurandosi con i temi del “sublime” di Edmund Burke.
Nollekens con la messa a punto del busto-ritratto, in cui fin dagli anni romani va sperimentando l’idea dell’antico come sintesi armoniosa di maestosità e semplice naturalezza: per la scienziata bolognese Anna Morandi Manzolini inventa un’iconografia a capo velato, di grande sobrietà formale, allusiva a doti interiori di vigore intellettuale e morale, che non mancherà di suscitare l’apprezzamento persino dell’imperatrice Caterina II di Russia.