vita d'antiquari

Marco Riccòmini

Bencini

Attenti a quei due

Ho sempre avuto l’impressione che potessero essere infiltrati, agenti sotto copertura. La copertura del mestiere di antiquari, che offrisse loro il pretesto di trovarsi ora a Londra ora a Parigi, senza destare sospetti. Però, troppo belli per passare inosservati. E poi, costruire una falsa identità accumulando negli ultimi trent’anni fior di cataloghi, spesso monografici (come quelli sul San Giovanni Battista di Carlo Dolci, a cura di Francesca Baldassari, il Quaderno sulla “Alzatina Sforni” di Oscar Ghiglia, a cura di Alessandro Marabottini, o il Quaderno sul Ritratto di Francesco Maria Pagano di Giovanni Maria Griffoni, con testi di Enrico Colle, Fabrizio Lemme e Fernando Mazzocca), mica è cosa semplice, che neanche il vecchio KGB ci sarebbe riuscito. Certo, non mi sarei sorpreso se, una sera a teatro, avessi scoperto Irene – occhi verdi come l’acqua del Ladoga, chioma dorata, come messi di grano ondeggianti a perdita d’occhio oltre gli Urali –nascondere una Makarov nella borsetta. E per una volta l’abito fa il monaco, ossia alla presenza corrisponde la sostanza, ovvero l’occhio. Così si spiegano anche le vendite a musei di tutto rispetto, come la Galleria Estense di Modena (che da loro acquistò la Minerva di Gaspare Venturini) o, giocando in casa, gli Uffizi (che nel 2002 comprò l’Annunciazione di Matthias Stomer, nel 2006 le Nozze di Maria dei Medici con Enrico IV di Jacopo da Empoli e nel 2015 la Scena di sacrificio di Paulus Bor), tanto per dirne alcuni (per non dire delle vendite a Fondazioni bancarie, come la Cassa di Risparmio di Firenze, quella di Macerata, etc.).