vita d'antiquari

Marco Riccòmini

Gianni Minozzi

Molti i cappelli indossati da Gianni, dagli Old Master Drawings agli Old Master Paintings, passando per la Cina

Si parla spesso della specializzazione come del grimaldello per aprire le porte del futuro, anche in una professione antica come quella dell’antiquario. Non è un caso, infatti, che l’ultima generazione di antiquari veda un progressivo distacco dal mestiere tradizionale, dove si cresceva imparando a distinguere in un piatto di maiolica la manifattura di Angarano da quella di Bassano o un comò napoletano da uno genovese. Eppure, questo potrebbe essere il momento in cui vince la trasversalità, perché «una specializzazione non precoce, preceduta da una serie consistente di tentativi ed errori, è in genere alla base della realizzazione. Roger Federer scoprì il tennis dopo aver sperimentato tutti gli altri sport che gli fossero capitati, e Django Reinhardt sviluppò il suo ineguagliato stile chitarristico dopo aver perso l’uso di due dita» (David Epstein: Generalisti. Perché una conoscenza allargata, flessibile e trasversale è la chiave per il futuro, Luiss University Press, 2000). Lo scrivo pensando a Gianni, che esordiva alla vigilia della prima Guerra del Golfo con un sofisticato catalogo di disegni antichi ma che, forse, i migliori affari li ha fatti con la Cina (non solo coi clienti dagli occhi a mandorla, ma comprando e vendendo porcellane cinesi, competenza che richiede doti non comuni). Oriente ed Old Master Drawings? Non solo. “A tempo perso”, Gianni indossa anche il cappello di specialista di Old Master Paintings per una nota casa d’aste genovese (il che ci fa capire come la curiosità sia il vero motore del nostro mestiere). Chapeau!, è il caso di dire.