vita d'antiquari

Leonardo Piccinini

Marco Fabio Apolloni, archeologia della memoria

"Credo che gli antiquari abbiano l’enorme potenzialità di diventare, tutti insieme, quello straordinario museo di arti decorative che manca all’Italia".

Roma, via Margutta. Chissà se è vero che deriva il nome dallo scudiero di Morgante, Margutte, che morì per aver riso a crepapelle. Certo è che in questo luogo così pittoresco alle pendici del Pincio i colori, i suoni, persino i profumi oltrepassano il ricordo proustiano e diventano pura archeologia della memoria, specialmente in una conversazione con uno degli antiquari più colti e generosi di ricordi come Marco Fabio Apolloni. “Vedi quest’insegna W. Apolloni?” indica entrando in galleria. “Non sta per Viva Apolloni, come molti hanno potuto pensare! È il nonno Wladimiro, che aprì bottega in via Frattina nel 1926” racconta con la simpatia di chi riesce a tenere costantemente insieme alto e basso, l’aneddoto cruciale e la lezione di storia dell’arte, mai annoiando.

Figlio di Fabrizio Apolloni, “uno degli antiquari più interessanti della sua generazione, protagonista di quell’Italia del dopoguerra ottimista e intraprendente”. Nell’antico complesso concepito dal marchese Patrizi a metà ‘800 come un vasto sistema di studi d’artista, la galleria occupa l’atelier più grande, già sede agli inizi del Novecento dell’Accademia Britannica e in seguito della galleria antiquaria di Massimo Tuena. Sale dense di opere di ogni epoca, dal disegno neoclassico all’arredo piemontese, al Napoleone morente di Vincenzo Vela. “Non inseguo la specializzazione, ho fin da bambino vissuto in un insieme disordinato e omogeneo di opere che ho imparato ad amare, a conoscere. Credo che gli antiquari abbiano l’enorme potenzialità di diventare, tutti insieme, quello straordinario museo di arti decorative che manca all’Italia”.