vita d'antiquari

Marco Riccòmini

Lukacs & Donath

Pressappoco nei giorni nei quali il giovane Sandor Donath – capelli imbrillantinati con la riga nel mezzo, il panciotto in Tweed inglese che tirava già un po’ sulla pancia – spolverava la vetrina della sua prima galleria a Budapest, nel teatro Magyar Állami Operaház, gremito di pubblico in trepidante silenzio, il trentenne Gustav Mahler dirigeva a memoria un concerto per pianoforte di Liszt.

Mi chiedo se, in mezzo alle signore elegantissime tra palchi e platea, tutte trine merletti e cappellini con piume di struzzo, ce ne fosse anche solo una che non avesse a casa sulla mensola del camino o in qualche vetrinetta almeno una coppia di figurine in porcellana. E quante di queste, nella città che sul finire dell’Ottocento era una delle più eleganti del Vecchio Continente, venissero proprio dal commercio di ceramiche dei Donath, proseguito da Pal, figlio di Sandor, poi da sua nipote Hedda, e infine, dopo la trasferta a Roma seguita alla guerra, giunto alla quarta generazione.

La tradizione delle maioliche e porcellane oggi è portata avanti da Giampaolo, storico dell’arte con una prima passione per i disegni antichi, che non disdegna anche altre nicchie di collezionismo, come le miniature del XVIII e XIX secolo e gli argenti italiani del Settecento.

In quarant’anni di antiquariato molte sono le scoperte che gli sono passate tra le mani, come quell’Amore e Psiche di Ginori di metà Settecento di cui si conoscono solo altri due esemplari, venduto al Museo di Sèvres o quel vaso in porcellana di Meissen (circa 1735) con montatura coeva in bronzo dorato, che oggi si può ammirare al Museo di Dresda.