di Simone Facchinetti

Uno sguardo privilegiato sulla BIAF di Palazzo Corsini

Il punto di vista di un membro del comitato scientifico

Dopo aver osservato, da una posizione privilegiata (come membro del comitato scientifico), le operazioni di allestimento della Biennale Internazionale dell’Antiquariato di Firenze, devo ammettere che per il collezionista intelligente, colto, fornito di un gusto al passo coi tempi non c’è più nessun ragionevole alibi che tenga. Non può più permettersi di dire che il mercato è stanco, che i capolavori stanno sull’altra faccia della terra o che non trova qualcosa all’altezza del suo inestinguibile desiderio di possesso.

L’ingresso di alcune gallerie d’arte contemporanea ha azzerato anche il giusto bisogno di quella scossa di adrenalina che alimenta l’idea di essere vivi, qui e ora. Espongono classici moderni e contemporanei, da Piccio a Pistoletto, da Sugimoto a Ontani. L’argomento del doppio, sottilmente rappresentato nello stand di Sperone, può essere esteso all’intero corpo della mostra. È il tema affascinante delle varianti d’autore ma anche, più semplicemente, dei continui rimandi visivi tra un’opera e l’altra, anche saltando i secoli. Chi ha scelto di montare degli spazi o delle pareti monografiche (ricordo quello bellissimo dedicato ai Gandolfi, quello sui disegni di Sabatelli, quello sorprendente di Giulio Aristide Sartorio) ha in qualche modo messo nelle condizioni l’osservatore di perdersi più facilmente in una stagione, un clima, una geografia artistica. Molti hanno preferito mescolare le carte, per opportunità o per gusto personale. Ovviamente anche questa è una via che permette all’occhio di vagare nel proprio mondo interiore. In questo caso giocano molto i vuoti, i silenzi, il ritmo compositivo della messinscena. Penso al clima che si stabiliva associando Orazio Gentileschi a Canova o alle fibrillazioni che si scatenavano tra Bernini e Moroni, tra Minelli e Giani, tra Dosso Dossi e Mattia Preti. Di rado vince l’opera singola (certo, di fronte al Daniele da Volterra si restava ammutoliti), in genere si impone uno stile che non può più essere fatto di quadri appesi alle pareti e di sculture appoggiate ai basamenti. È solo un giudizio personale ma negli ultimi dieci anni non si era mai vista una selezione così alta di opere d’arte alla Biennale. Il mercato ha ricominciato a correre, auguriamoci solo che i collezionisti abbiano il fiato per stargli dietro.