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di Fabrizio Lemme

Attestati di libera circolazione: insopportabile discrezionalità.

Nella Tavola Rotonda “Attestati di libera circolazione: insopportabile discrezionalità”, l’Avv. Prof. Fabrizio Lemme (Titolare in quiescenza di Diritto Penale dell’Economia nell’Università di Siena ed attualmente Professore a contratto di Diritto del Patrimonio Culturale presso la LUISS e presso il Collegio Superiore Sant’Anna di Pisa) ha tenuto una dettagliata relazione di apertura, analizzando l’evoluzione dell’istituto della licenza di esportazione di beni culturali nell’ordinamento italiano.
    Il Prof. Lemme, dopo aver illustrato gli artt. 35 e ss. della fondamentale Legge 1° giugno 1939 n. 1089 (c.d. “Legge Bottai”), il cui impianto resta sostanzialmente inalterato anche nel diritto vigente (artt. 68 e ss. D.Lgs. 42/04), ha dettagliatamente esaminato le direttive generali in materia, espresse nella circolare 13.5.1974 del Ministero della Pubblica Istruzione – Direzione Generale Antichità e Belle Arti, che recepiscono il parere reso in seduta congiunta dalla I e II Sezione del Consiglio Superiore delle Antichità e Belle Arti il 10.1.1974.
    Il Prof. Lemme ha messo in evidenza come tale circolare, nonostante specifichi molti criteri di riferimento (il pregio d’arte, la rarità anche iconologica, le qualità tecniche, le difficoltà di ulteriori acquisizioni per le cose “originarie di altra nazione”), lascia agli Uffici Esportazione un ampio, insopprimibile margine di discrezionalità.
    Conseguentemente, per evitare gli arbitri – sempre possibili quando la discrezionalità del “Principe” si possa liberamente esplicare – ha indicato l’unico rimedio a suo avviso ipotizzabile: il ricorso gerarchico, nel quale è possibile sindacare il provvedimento negativo non solo nella legittimità (ad es., insufficiente motivazione) ma anche nel merito (ad es., l’opera di cui si chiede l’esportazione non ha effettivo interesse nella tutela del patrimonio culturale), non deve essere deciso dal competente Direttore Generale (come è attualmente).
    Quest’ultimo infatti è necessariamente portato a confermare un provvedimento negativo adottato da un organo, certo di grado a lui inferiore ma pur sempre appartenente a quella stessa amministrazione che vede al vertice lo stesso Direttore Generale.
    Lemme ha quindi suggerito di demandare la soluzione dei ricorsi gerarchici ad un organo del contenzioso amministrativo (che non è giudice speciale), costituito da tre membri: uno nominato dal Consiglio Superiore dei Beni Culturali, un altro dai sindacati di categoria, il terzo, presidente, dai primi due d’accordo tra loro o, in difetto, dal Presidente del Consiglio di Stato.
    In tal modo il ricorso gerarchico avrebbe una funzione di tutela effettiva e non di tutela meramente nominale: tutela a volte addirittura platealmente soppressa dalla stessa Direzione Generale chiamata a decidere, che, non rispondendo nel termine di rito di novanta giorni dalla presentazione del ricorso, determina la formazione del “silenzio-rigetto“ e quindi la vanificazione nei fatti dell’unico rimedio che consente il sindacato di merito.
    La soluzione proposta può essere introdotta nel nostro ordinamento giuridico solo per via di legge ordinaria (art. 97 Cost.) e quindi il Prof. Lemme ha auspicato che i sindacati di categoria si astengano in futuro da una politica, del tutto inascoltata, di mero lamento ed intervengano trovando i parlamentari effettivamente disposti a sostenere la modificazione suggerita.