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Simone Facchinetti

Una mostra a Capodimonte

Gli spagnoli a Napoli. Il Rinascimento meridionale

Nel corso del primo Cinquecento la storia della pittura spagnola si intreccia con quella italiana. La “maniera moderna” di Leonardo, Raffaello e Michelangelo farà numerosi proseliti iberici, in continuo movimento tra Milano, Firenze e Roma. Molti di loro raggiungeranno la nuova capitale del vicereame spagnolo (dal 1503), Napoli, appunto.

Tutti sanno cosa abbiano significato Venezia, Firenze o Roma per le arti del Rinascimento: e Napoli? La mostra curata da Riccardo Naldi e Andrea Zezza (aperta fino al 25 giugno) fornisce una chiara prospettiva di lettura. Napoli era un luogo aperto e cosmopolita, uno straordinario crogiuolo dove convivevano diverse lingue. Non va dimenticato che all’epoca la città partenopea era la più popolosa d’Italia, seconda in Europa solamente a Parigi. Dunque, un luogo “libero” dove è andata in scena una storia di intrecci figurativi che ha pochi equivalenti (se non nessuno) nel resto della penisola.

Uno dei punti salienti dell’esposizione gira intorno alla Madonna del pesce di Raffaello, eccezionalmente prestata dal Prado ma proveniente dalla chiesa di San Domenico Maggiore a Napoli. Qui apro una parentesi per dire che l’opera è riprodotta in copertina al catalogo, stampato in modo talmente esemplare da Artem che è giusto sottolinearlo (382 pp., 39 euro).

Tornando alla Madonna del pesce essa ha innescato delle reazioni a catena soprattutto nei pittori meridionali, con Andrea da Salerno in testa. Molti di quelli spagnoli avevano già contaminato il loro percorso con influenze del genere.

I protagonisti spagnoli di questo Rinascimento meridionale sono il Maestro del Retablo di Bolea (un pittore eccezionale, ancora in cerca di identità), Pedro Fernández, Marco Cardisco, Pedro Machuca, Alonso Berruguete, senza dimenticare gli scultori (che in più di un momento rubano la scena): Bartolomé Ordónez, ma soprattutto Diego de Siloe.