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Marco Riccòmini

La gallarda toledana

Dipinti, sculture, arazzi e un olifante africano nella scatola del Tesoro dei Granduchi la rendono imperdibile

«Se solo questa penna fosse come i tuoi pennelli», esordiva Lope de Vega, nel dedicare a Francisco Pacheco «pintor insigne» La gallarda toledana. Si tratta di una «comedia famosa», gioco di equivoci, a cominciare dal titolo. Gallarda, infatti, si può tradurre con “gagliarda”, se riferita a Doña Ana, la protagonista femminile. “Gallarda”, però, era pure una danza, che Fabrizio Caroso codificò ne Il ballarino, stampato a Venezia nel 1581 con dedica «Alla seren.ma Sig.ra Bianca Cappello de Medici, Gran duchessa di Toscana». «La Dama sola, farà due Riprese alla sinistra, & due Passi gravi innanzi col piè sinistro», spiega il maestro di ballo, che somiglia tremendamente a quel «It’s just a jump to the left, and then a step to the right» del The Rocky Horror Picture Show. Sempre che il commediografo che Cervantes definì «monstruo de naturaleza» (prodigio della natura), con toledana non alludesse alle famose lame prodotte a Toledo, città della figlia di don Pedro Álvarez, viceré di Napoli, sposa di Cosimo I de’ Medici, cui è dedicata la mostra Eleonora di Toledo e l’invenzione della corte dei Medici a Firenze (Palazzo Pitti, fino al 14 maggio). Dipinti, sculture, arazzi e un olifante africano nella scatola del Tesoro dei Granduchi la rendono imperdibile. La si paragona ad una Anna Wintour dell’epoca; quella che, di se stessa, ha detto: «I don’t think of myself as a powerful person» (non mi considero una persona potente). Conoscendo la durezza del soggetto di cui si parla, superiore a quella dell’acciaio toledano, vien da pensare a quanto sia vero il detto: Ne uccide più la lingua che la spada.