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Marco Riccòmini

El Duende

Portarsi a casa un pezzo che gli è appartenuto è un po’ come appropriarsi di una parte, foss’anche piccola e marginale, di quella grande storia di antiquariato, gusto, collezionismo e anche, in fondo, storia dell’arte

Cosa sia lo chiarisce Alvar Gonzáles-Palacios nel brano estratto dal suo Forse è tutta questione di luce (2022) utilizzato ad introdurre il catalogo d’asta. Si tratta di quell’«encanto misterioso e inefable», come prova a spiegare il Diccionario de la Lengua Española de la Real Academia. Ossia, direte voi? Una sorta di potere magico che guida il fare di solo alcuni di noi. Come Giovanni Pratesi. Il termine “encanto” non poteva essere più adatto, perché fa al caso nostro anche sotto un altro punto di vista. Perché d’incanto qui si parla. Ovverosia dell’asta (Giovanni Pratesi, The Florentine Eye, a Milano il 22 marzo), dove sotto il martello passeranno la bellezza (è il caso di dire) di 169 opere tra sculture, dipinti e Works of Art appartenenti alla raccolta di Giovanni Pratesi. Farebbe specie, in queste pagine che lui promosse nel 1959 (quando ancora si stampavano su carta), spiegare chi sia e chi sia stato, perché la sua fama ha raggiunto gli angoli del mondo, anche se il suo cuore non si è mai mosso da Figline Val d’Arno. Si potrebbe dire che è ed è stato “The Florentine Eye” per eccellenza, come recita il sottotitolo del catalogo d’asta (solo online). Ovvero un occhio spesso infallibile aiutato anche da quel Duende, che gli ha permesso di aprire nuove strade, e di guardare là dove altri giravano lo sguardo. Portarsi a casa un pezzo che gli è appartenuto è un po’ come appropriarsi di una parte, foss’anche piccola e marginale, di quella grande storia di antiquariato, gusto, collezionismo e anche, in fondo, storia dell’arte. El Duende, desafortunadamente (ahimè), è un No Lot.