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Marco Riccòmini

Tiptoe

Ciò che un museo nazionale dovrebbe sempre avere il coraggio di fare (coi soldi anche nostri)

«Mi scusi – chiedo, distratto – ma le opere in mostra quali sono?». «Quelle di Neri Marcorè sono quelle col cartellino», risponde sovrappensiero la bigliettaia alla Galleria Corsini. «Prego?». «Ah, mi scusi, lo chiamiamo così tra noi per ridere», dice, arrossendo (cercando, al tempo stesso, di sprofondare dietro il bancone). Ho come il sospetto che il «Neri» cardinale, chiamato anche «Nerio» e detto «Seniore», avesse meno senso dell’umorismo dell’«attore, doppiatore, conduttore televisivo, conduttore radiofonico, imitatore e cantante» (dalla pagina Wikipedia) marchigiano, col quale i custodi della Galleria Nazionale romana si divertono a confonderlo. In compenso, amava le lettere (radunò una biblioteca di oltre trentamila volumi che aprì al pubblico), e le belle arti, essendo dotato di occhio fino e attento alla qualità delle opere di cui amava circondarsi. Allestita tra le sale della sua galleria, rimasta sostanzialmente invariata negli ultimi duecento e cinquant’anni, la mostra Le stanze del Cardinale. Neri Maria Corsini protagonista della Roma del Settecento (fino al 10 aprile), racconta in punta di piedi la figura di quello straordinario collezionista. Per l’occasione, tornano “a casa”, tra gli altri, un superbo rame di Carlo Cignani e due Vedute di Roma di Pannini. Punta di piedi (il «tiptoe» d’oltremanica)? Ossia solida costruzione scientifica con opere di indubbia qualità, senza strombettare nomi di richiamo e senza strizzare l’occhio al (fantomatico) grande pubblico. Ciò che, insomma, un museo nazionale dovrebbe sempre avere il coraggio di fare (coi soldi anche nostri).