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Marco Riccòmini

Niobe

Non c’è catalogo, ma non serve un libretto per questa recita che, come un dardo, va dritta al cuore

Quella di Niobe è una storia che lascia di sasso. Narra della figlia di Tantalo (quello che gli dei punirono nel Tartaro, non il paradiso degli igienisti dentali, ma un inferno dove era condannato a patire fame e sete implacabili), che si faceva vanto dei suoi dodici figli con l’amica e rivale Latona, che al mondo ne aveva messi due soltanto: Apollo e Artemide. Questi ultimi, per far felice la madre, invidiosa della copiosa nidiata altrui, infilzarono come polli allo spiedo tutti e dodici i pargoli di Niobe che, impietrita dal dolore, si trasformò in un masso. Narra ancora Omero che, dopo non aver mosso un dito per evitare la strage (tipo Bowling for Columbine), gli dei dell’Olimpo, mossi a compassione, la posero in cima al monte Sipilo, da dove l’infelice Niobe fece sgorgare il suo pianto, che dalla roccia divenne ruscello. Chi ora visitasse agli Uffizi la Sala della Niobe, accanto alle tredici statue in marmo delle collezioni medicee a celebrare il mito troverebbe a far loro visita anche quelle nove, ancor più struggenti, di recente emerse dalla terra a Ciampino (fino al 12 marzo 2023). Mutile ed erose dall’acqua, paion quasi quei gessi di chi fu sorpreso dalla lava a Pompei. Son corpi calcificati nell’ultimo gesto compiuto prima di esalare l’anima, raggiunti dalle saette di Artemide e di Apollo. Attori d’uno spettacolo muto, allestito sul palcoscenico degli Uffizi, nel teatro settecentesco della Sala della Niobe, contro un sipario di pallido verde lorenese. Non c’è catalogo (se non online), ma non serve un libretto per questa recita che, come un dardo, va dritta al cuore.