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Simone Facchinetti

Le gioie di collezionare di J. Paul Getty

Un libro comico, anche se involontariamente

Chissà cosa vedeva quando guardava un quadro? Certo non quello che c’era dipinto, altrimenti le cose sarebbero andate diversamente. Forse vedeva, come molti, solo quello che aveva in testa: una dosata miscela tra ciò che credeva di vedere e ciò che avrebbe voluto vedere.

A distanza di quasi sessant’anni dalla prima pubblicazione The Joys of Collecting di J. Paul Getty fanno ancora una certa impressione, non per i consigli che l’autore pretende di fornire ai collezionisti come lui (è stato solo l’uomo più ricco del pianeta!) ma per la suprema ingenuità con la quale si esercita in questo mestiere. Ne suggerisco comunque la lettura (ora parzialmente ripubblicato in italiano, Le gioie di collezionare, Johan & Levi editore), avvertendo che va preso per il verso giusto: è un libro comico, anche se involontariamente.


“Chi ha osato vendere quella roba a Paul spacciandola per un Raffaello?”


All’età di 46 anni Getty entra in azione in un’asta Sotheby’s a Londra nel 1938. La prima cosa che gli ha fatto “venire l’acquolina in bocca” è stato il titolo del catalogo che annunciava la vendita di “celebri dipinti appartenenti alle Reali Collezioni di Francia messi all’asta su mandato di Sua Altezza Reale la Principessa…”. Come un toro aveva reagito alla vista di un blasone sventolante. Tra le opere messe in vendita si era fissato sulla Madonna di Loreto di Raffaello (ovviamente una copia) anche perché era stimata solo 10 sterline (l’avrebbe pagata 40). Per avere una conferma dei suoi sospetti (ovvero che fosse l’originale perduto di Raffaello) ha chiesto un parere sulla sua autenticità al “celebre artista inglese Gerald Brockhurst”, autore di un meno celebre ritratto del medesimo Getty, eseguito lo stesso anno. Brockhurst sosteneva che “la scorciatura del braccio destro della Vergine tradiva la mano di Raffaello”. Tradire è il verbo più calzante per la circostanza. Ad ogni modo il quadro sarà collocato in pompa magna nella residenza inglese di Sutton Place. Qui il suo nuovo proprietario lo teneva come un tesoro, convinto di avere scoperto un capolavoro. È arrivato anche a quantificarne il valore: “da quando è stata autenticata come originale virtualmente non ha prezzo ed è stata assicurata per una somma diecimila volte quella che ho pagato”. Pochi giorni dopo il suo arrivo a Sutton Place la tavola è stata esaminata dal mercante Colin Agnew che pare abbia detto, in assenza di Getty, “chi ha osato vendere quella roba a Paul spacciandola per un Raffaello?”. Sembra di essere finiti dentro una storiella di Groucho Marx, con la sola differenza che qui è tutto vero.