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Marco Riccòmini

Nando Peretti

(ovvero “L’occhio”)

Recita l’adagio che anche l’occhio voglia la sua parte. Per chi non lo avesse conosciuto, posso assicurare che quello di Nando ha avuto una parte tutt’altro che piccola; anzi, per un buon numero di anni (o, meglio, di decenni), nel mercato internazionale degli Old Masters, fu sua la fetta più grande della torta. Quando, prima all’ombra della (vecchia) Colnaghi di Old Bond Street, poi della Walpole Gallery di Dover Street, era il dominus incontrastato dei dipinti barocchi italiani e del Settecento veneziano, non c’era asta a Londra e poi ovunque in cui, voracemente, non lasciasse il segno, né quadro che, giunto tra le sue mani, non venisse aggredito da un batuffolo di cotone intriso di Décapant o Sapone di Marsiglia, per il gusto di vedere cosa ci fosse sotto lo sporco e gli strati di vernice. Eppure, sbaglierebbe chi lo dipingesse come un conoscitore. Come sbaglierebbe chi ne tramandasse il ritratto d’un uomo bene informato sui fatti d’arte. Sebbene amasse lasciarlo credere, Nando non era né l’una né l’altra cosa. Il suo era puro istinto, guidato da un amore sviscerato per la pittura come lo può avere nel sangue solo chi ha tenuto i pennelli in mano, come lui da giovane fece. Scelse di non esporsi mai in prima persona, e mai una galleria portò il suo nome. Eppure, il suo nome era noto al mondo. La sua scomparsa chiude un capitolo epico del mercato dell’arte, scritto con inchiostro simpatico su fogli di carta volanti da quegli italiani che, senza nulla da perdere in patria, hanno saputo imporre oltremanica e perfino oltreoceano nel secondo dopoguerra il loro implacabile occhio.