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di Anna Orlando

Il Barocco di Sir Denis

Sir Denis Mahon ha spento cento candeline alla National Gallery di Londra nel novembre del 2011. Pochi mesi dopo, in aprile dell’anno successivo, finiva la sua avventura terrena. Si sarebbe dovuta aprire allora, così aveva desiderato lui stesso, la mostra per festeggiare il suo centenario, che con qualche anno di ritardo è allestita ora alla Galleria Barberini di Roma. Fino all’8 febbraio, questa mostra-omaggio all’intramontabile storico dell’arte, alle sue più specifiche passioni, e dunque soprattutto al Barocco Italiano, è godibile nelle sale del museo romano. L’allestimento è sobrio e la sequenza delle di 47 tele, alcune davvero straordinarie, risulta pienamente godibile. Curata da Mina Gregori, amica storica di Sir Denis, Anna Coliva, direttrice della Galleria Borghese, e Sergey Androsov dell’Ermitage di San Pietroburgo, l’esposizione è costruita come se si trattasse della sequenza di capitoli in una miscellanea “in memoria di”. Non parole né saggi, ma i capolavori stessi, cioè otto opere della sua collezione in lascito alla Pinacoteca di Bologna e prestiti di altra provenienza, ripercorrono una a una le tante ricerche che Mahon ha condotto con la passione dello storico, unita a quella delle connoiseur e del collezionista. E dunque non poteva che cominciare con il capitolo sulla pittura Bolognese, con un dialogo serrato tra capolavori di Reni, Guercino e dei Carracci. Si guardano la “Sibilla” del divino Guido e quella del Guercino e tanti volti, dall’”Autoritratto” del pittore di Cento a quello di Annibale, al “Vecchio con libro” sempre del Guercino che viene dalla Galleria Estense, in un’alternanza di realismo e purezza formale. Che altro non è, in sintesi, che il contributo al Seicento proprio di Bologna.


“Per calarsi poi in una realtà più cruda, con un’adesione diretta dei pittori al vero, ecco che seguono le tele di Caravaggio. Ben sei quadri del Merisi, che, scontato dirlo, valgono il viaggio.”


Per calarsi poi in una realtà più cruda, con un’adesione diretta dei pittori al vero, ecco che seguono le tele di Caravaggio. Ben sei quadri del Merisi, che, scontato dirlo, valgono il viaggio. E’ rientrato a San Pietroburgo il “Suonatore di liuto” esposto solo fino al 7 dicembre, perché l’Ermitage festeggia i suoi 250 anni e l’opera è ovviamente considerata un must per i tanti visitatori.  Ma restano il “Bacchino malato” della Borghese, la “Giuditta e Oloferne” della Berberini, il “San Francesco” del Museo Ala Ponzone di Cremona e il “Cavadenti” della Palatina di Firenze. Provenienze che la dicono lunga sul contributo diretto dei curatori:  la forza della mostra risiede proprio nella ricchezza dei prestiti che si devono, ovviamente, all’autorevolezza della sede ma ancor più a quella del trio Gregori, Coliva e Androsov. Per chiudere in bellezza, la mostra regala la possibilità di guardare due Poussin dall’Ermitage: la “Venere con fauno e putti” e “La battaglia tra gli Israeliti e gli Amaleciti”. Tutto il tempo che si vuole, senza che nessuno faccia fretta per una visita con i minuti contati, come alla Borghese, e anche senza folle, ahimè. Visto che le mostre serie non vanno di moda e ai più piacciono in Italia quasi solo quelle chiassose.

 

Da Guercino a Caravaggio.

Sir Denis Mahon e l’arte italiana del XVII secolo

Roma, Palazzo Barberini, Via delle Quattro Fontane, 13 Roma

fino all’8 febbraio 2015

Orari: Martedì – Domenica 9.30 – 19.30 (La biglietteria chiude alle 18.30)