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Marco Riccòmini da Kiev

Russians

«I hope the Russians love their children too»

«In Europa e in America c’è una crescente sensazione di isteria». Le notizie sempre più inquietanti che giungono dal confine orientale appaiono però così distanti, nel tempo oltre che nello spazio. A cosa serve ripetersi che «non esiste una guerra che si può vincere», come cantava Sting, quando i reportage mostrano trincee e colonne di cingolati, come in quei filmati di oltre mezzo secolo fa? Cosa fareste se foste voi sulla linea di confine; se, sul tavolo dal quale amministrate le pubbliche raccolte d’arte, giungesse l’ordine di mettere in sicurezza il patrimonio a voi affidato? Come reagiremmo al prospetto di dover salvare il salvabile e anche noi stessi? Perché in gioco c’è anche ciò che chi ci ha preceduto ha custodito perché potessimo a nostra volta passarlo a chi verrà dopo di noi, ossia le raccolte d’arte. “Vede – mi dice la curatrice del Bohdan and Varvara Khanenko National Museum of Arts di Kiev, la più importante collezione d’arte europea della capitale ucraina, indicando il filo d’acciaio che sostiene un dipinto – qui abbiamo legato un nastro giallo, mentre su quello un nastro rosso. Così sapremo a cosa dare la precedenza. Nel caso ricevessimo l’allarme, porteremmo in salvo le opere “rosse”. Se avanzasse tempo provvederemmo a portar via anche quelle “gialle”. È una scelta sofferta, ma andava fatta”. E penso a quanti fra i tanti quadri che ho visto nella vita segnerei col rosso, potendone scegliere non più di una ventina. «Believe me when I say to you, I hope the Russians love their children too» (credimi quando ti dico, spero che anche i russi amino i loro figli).