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Luca Violo

LE DAME DEI POLLAIOLO

Aldo Galli e Andrea di Lorenzo sono i curatori di un grande espositivo dal titolo Le dame dei Pollaiolo. Una bottega fiorentina del Rinascimento, allestito al Museo Poldi Pezzoli di Milano, dal 7 novembre 2014 al 16 febbraio 2015, che offre l’occasione per esporre per la prima volta nella loro storia, i quattro ritratti femminili di Piero del Pollaiolo conservati, oltre che al museo milanese, alla Galleria degli Uffizi di Firenze, alla Gemäldegalerie di Berlino e al Metropolitan Museum of Art di New York.  Insieme a Annalisa Zanni, illuminato direttore del museo, hanno ripercorso la vicenda di due artisti di eccelso valore che, nella pittura come nella scultura, hanno dato sfoggio di personalità affini ma distinte che meritavano di essere rielette alla luce della moderna storiografia storico artistica, non dimenticando le fonti precedenti alle Vite del Vasari che molte nebbie avevano addensato sulla vite e sull’attribuzione delle opere dei Pollaiolo.

Quali sono gli assunti da cui è nata questa mostra?
L’occasione è chiaramente quella legata ai ritratti femminili, nucleo forte, anche scenograficamente, e punto di arrivo dell’esposizione. Partendo da questo assunto, abbiamo pertanto pensato che sarebbe stato interessante allargare il discorso ai fratelli Pollaiolo, Piero e Antonio, grazie ad una serie di importanti prestiti che ci sono stati concessi, e analizzarli non solo come fratelli e pittori, ma anzi, in particolare Antonio, come orafo e scultore.
La mostra dà perciò la possibilità di scoprire, accanto ai ritratti di Piero, la poliedricità di Antonio nel modellare sculture in terracotta e bronzo, oreficerie, ricami e disegni, che mostrano la capacità dell’artista di inventare e progettare. Pertanto, da un punto di vista storico-artistico, l’idea forte che vorremmo far passare in mostra è quella di distinguere queste due personalità, che a partire dalle Vite del Vasari, sono sempre state molto mischiate l’una con l’altra, come fossero un’unica identità impossibile da distinguere.
In realtà, vi è un pittore che è Piero, più giovane di dieci anni del fratello, a cui attribuiamo i quattro ritratti femminili, e un artista più versatile, Antonio, con tantissime tecniche di cui disporre e al quale si devono oreficerie meravigliose, di cui una delle più spettacolari che saranno presenti in mostra, è una croce d’altare in argento e smalto, alta due metri, realizzata per il Battistero di Firenze: forse l’oreficeria più splendida del Rinascimento che ci sia pervenuta, fulcro della prima sala.

Quale lettura possiamo dare della figura femminile attraverso questi ritratti?
Il significato del ritratto femminile, storico e anche sociale – che noi rischiamo di leggere in chiave moderna e forzatamente antistorica, forse perché sedotti dalla bellezza –, è quello di donne che vivevano in una società profondamente maschilista, e che probabilmente avevano nell’occasione di farsi ritrarre, nell’imminenza del fidanzamento o delle nozze, l’unico momento di visibilità sociale di tutta la loro esistenza.

Guardando a questi ritratti, cioè a queste figure di profilo, qual è lo schema da cui nascono?
Sono forse gli ultimi esemplari nella storia dell’arte italiana di ritratto di profilo, cioè di ritratto che si mantiene su una linea che è quella dei primi ritratti italiani, come ad esempio il Ritratto di giovane principessa del Pisanello, al Museo del Louvre di Parigi, che risente della tradizione della medaglistica, cioè del ritratto all’antica – non a caso Pisanello era medaglista oltre che pittore. È significativo a questo riguardo che i ritratti femminili rimangano di profilo più a lungo di quelli maschili.
Già a queste date a Firenze il ritratto maschile è normalmente o rivolto allo spettatore o comunque girato di tre quarti, entra cioè in dialogo con chi lo guarda. Il ritratto femminile, per quella maggiore esigenza di pudicizia, di non svelarsi troppo a chi lo osserva, per mantenersi su una sfera più astratta, più idealizzata, continua a essere di profilo.
Sostanzialmente il primo grande ritratto femminile rivolto verso lo spettatore è Ginevra dei Benci di Leonardo, alla National Gallery di Washington, che proprio negli stessi anni in cui Piero del Pollaiolo dipinge questi ritratti, per la prima volta gira la modella verso il pubblico.

Pur essendo delle figure idealizzate, vi sono comunque degli elementi che caratterizzano l’aspetto sociale?
I gioielli che le donne indossavano erano probabilmente parte della loro dote. Questi ritratti erano anche una sorta di rappresentazione delle ricchezze, dello status sociale della famiglia, e in qualche modo del matrimonio. Questa esibizione di stoffe preziose, di gioielli che si indossavano su abiti e acconciature fatte di perle, rubini, spille in smalto; di tessuti in velluto bouclé realizzati in anellini d’oro orditi alla seta, avevano un costo enorme, anche superiore a quello dell’oreficeria.

Attraverso questo tipo di ritratti si può capire anche l’evoluzione della moda?
Dei quattro ritratti di Piero, il più antico è quello della ragazza di Berlino, che porta ancora un tipo di vestito molto accollato davanti, che scende sulla schiena, esattamente come andava di moda già alla metà del Quattrocento. Dagli anni sessanta agli ottanta del Quattrocento si afferma una veste più scollata, che è quella che vediamo nei ritratti di Milano, Firenze e New York. Studi molto importanti di Luciano Bellosi ricostruiscono la cronologia della pittura italiana del Trecento proprio a partire dall’esame delle trasformazioni dell’abbigliamento. È per esempio tipicissimo quello che avviene alla metà del Trecento, proprio in corrispondenza della grande peste del 1348, in cui sulla scia della moda importata dalla Francia, si passa da vesti molto ampie che nascondono il corpo a vesti attillate, come si vedono nella pittura fra il 1350 e il 1380, con giubbetti, grande gusto per la decorazione, frappe, calzamaglie, scollature molto profonde. Lo stesso vale per l’epoca quattrocentesca, dove la moda è più varia, con più declinazioni. Esistono tipologie di pettinatura – che nel nostro caso richiamano le dame del Pollaiolo – con chignon trattenuti da fili di nastri di perle, detti frenelli, in quanto frenavano la caduta dei capelli. Questo tipo di acconciatura ha una sua diffusione piuttosto limitata nel tempo, che va dal 1460 alla fine del secolo quando diventa di moda la grande treccia.

La figura muliebre di Piero del Pollaiolo quanto è iconica di un certo aspetto di Rinascimento toscano?
Rappresenta sicuramente quello che era il tipo di bellezza ideale di donna per un uomo. Queste dame sono chiaramente realistiche nei loro tratti, ma è un realismo in qualche modo addolcito.
Ci sono troppi elementi comuni, considerati particolarmente apprezzabili della bellezza femminile, e quindi standardizzati. È curioso che tutte queste ragazze viste di profilo abbiano il labbro inferiore leggermente ritratto rispetto a quello superiore; abbiano il collo dalla linea molto lunga; abbiano fronti alte, enfatizzate dall’acconciatura; siano bionde di capelli e pallide d’incarnato, espedienti dati da tinture e trucchi appropriati.

Insomma, una bellezza molto artefatta e al tempo stesso ricercata. Questo principio di bellezza è poi passato nei secoli successivi?
Nel Cinquecento si afferma un’idea di bellezza più opulenta, più carnosa, e nel passare dal profilo all’esibizione frontale, con questi grandi e pesanti abiti, la rappresentazione diventa molto meno cerebrale. Ma il fascino di questi quadri quattrocenteschi è proprio nello stare sulla soglia tra rappresentazione della realtà e astrazione ideale, cioè una bellezza vera ma al contempo mentale, molto ideale. Questi ritratti ritornano in auge e trovano un consenso mondiale con l’affermarsi della confraternita dei Preraffaelliti, e diversi fra i più accreditati storici dell’arte del momento giudicano questi dipinti, in particolare quello del Poldi Pezzoli, come i più belli del Quattrocento. Va anche precisato che questo Ritratto di Dama è fra i quattro certamente il meglio conservato. È un quadro che si mostra con una pelle perfetta, l’incarnato della ragazza mantiene tutta la freschezza della pittura originale, e si presenta come fosse appena uscito dalla camera della fanciulla per cui era stato concepito, dandogli un fascino molto forte per la sua bellezza pittorica. Ritengo che fra tutti i ritratti del Quattrocento, il Ritratto di Dama del Poldi Pezzoli è quello in cui l’equilibrio tra linea e colore tocca il suo vertice, il suo punto più alto. Questa linea perfetta che non si stacca mai dalla tavola, che traccia questo profilo così inciso, così netto come quello di una medaglia, e poi riempito di una pittura che deve molto ai modelli fiamminghi; quindi non più una pittura a tempera ma a olio, una pittura più ricca, più satura di colore, più brillante, e la fusione di questa linea finita e queste belle superfici luminose smaltate, rendono il quadro spettacolare.

Approfittando della mostra, quanto è ancora attuale il tema del ritratto?
Il successo del ritratto lo si spiega con il fatto che non pone barriere di carattere ideologico o religioso. Una donna col bambino è una donna col bambino. Può piacere o non piacere, ma è comunque un dipinto che condiziona in qualche modo la lettura dal punto di vista dei suoi contenuti. Il ritratto è qualcosa che si offre con un realismo assoluto, come una natura morta, e soprattutto dà un po’ la sensazione di guardare dentro al Rinascimento. Il ritratto di una figura viva a quel tempo, che vestiva gli abiti del tempo, stimola il gusto per il romanzo storico, evoca il suo periodo che è quello del Quattrocento, al tempo di Lorenzo il Magnifico nel nostro caso, in maniera molto più diretta che non un dipinto di storia sacra.

In quale momento la storiografia inizia a interessarsi alle figure di Piero e Antonio del Pollaiolo?
La storia dell’arte come la intendiamo noi si occupa della figura femminile quattrocentesca a partire dal pieno Ottocento, e già a cavallo fra Otto e Novecento si individuano nei fratelli Pollaiolo i candidati più ragionevoli per l’attribuzione di queste tavole. Comincia così una discussione tra Antonio e Piero, tra i due fratelli, discussione che sostanzialmente non si è mai sedata, tant’è che ancor oggi tantissimi studiosi hanno opinioni diverse da quelle che invece noi proponiamo in mostra. Da questo punto di vista, credo che l’occasione della mostra sarà fondamentale per poter studiare questi quadri uno accanto all’altro, e quindi di poterli giudicare non sulla base di fotografie, ma studiando i quattro originali dal punto di vista della crescita delle conoscenze sullo stile dei fratelli Pollaiolo.

Quali conclusioni possono trarsi da questa preziosa e irripetibile esposizione?
A una ridistribuzione di tutto il catalogo pittorico, restituendo centralità alla figura di Antonio, che fino ad oggi è stato sempre considerato una specie di assistente, di aiutante del fratello, un artista senza una vera identità. È stato invece un artista a tutto tondo. Questo sulla base di un lavoro fatto sulle fonti precedenti al Vasari, che raccontano in maniera molto chiara, molto netta, la differenza di ruolo tra dei due fratelli. Nella mostra si vorrebbe restituire una personalità forte ad Antonio. Di lui saranno esposte opere molto belle, come Apollo e Dafne della National Gallery di Londra e David con la testa di Golia della Gemäldegalerie di Berlino. Tutte opere che normalmente sono sempre state nel catalogo di Piero, e che in questa occasione ci proponiamo di restituire ad Antonio sulla base di una lettura complessiva di questa figura.