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Marco Riccòmini

No time to die

Calcolare l’ora esatta è sempre stata ossessione dell’uomo (e non solo nelle valli oltre il Piz Bernina)

«No time to die», è la malinconica ballata dell’ultimo film con Bond: James Bond. «You were never on my side / Fool me once, fool me twice / Are you death or paradise?» (Non sei mai stato dalla mia parte / Ingannami una volta, ingannami due volte / Sei la morte o il paradiso?), canta Billie Eilish. Che si perda per amore si sapeva, ma che la testa si possa perdere anche di fronte al computo del tempo ce lo spiega Umberto Eco in un saggio del 1999 che apre il catalogo della mostra La Forma del Tempo (dal 13 maggio al 27 settembre al Museo Poldi Pezzoli di Milano; catalogo edito da SKIRA). «Faces from my past return /Another lesson yet to learn» (Facce del mio passato ritornano / Un’altra lezione ancora da imparare).


"Ma perché privarsi del piacere di perdere tempo nella contemplazione delle macchine che il tempo lo misurano quando queste sono decorate da pittori di grido, o degli orologi notturni dei fratelli Campani, o a proiezione di Wendelinus Hessler?"


Calcolare l’ora esatta è sempre stata ossessione dell’uomo (e non solo nelle valli oltre il Piz Bernina), e se l’attore che veste i panni della spia a doppio zero sfoggia al polso un cronografo svizzero è perché non ha ancora letto Agostino (e capito così che la vera misura del tempo è interiore). Ma perché privarsi del piacere di perdere tempo nella contemplazione delle macchine che il tempo lo misurano quando queste sono decorate da pittori di grido, o degli orologi notturni dei fratelli Campani, o a proiezione di Wendelinus Hessler? Temo, tuttavia, che per quanto giriate la mostra, in senso orario o antiorario, difficilmente vi ritrovereste all’uscita ad aver guadagnato un giorno come accadde a Phileas Fogg che, giunto a Londra, pensava di aver perso la scommessa che, invece, avendo girando attorno al mondo da Ovest a Est (e quindi contro il tempo), aveva vinta.