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di Walter Padovani e Leonardo Piccinini

Biennale di Firenze, quale destino?

Conversazione con Fabrizio Moretti

A un anno dall’inizio della pandemia, e con un futuro ancora pieno di incognite, risulta molto utile l’analisi di un protagonista del mercato d’arte mondiale, Fabrizio Moretti, che riveste dal 2015 la carica di segretario generale della Biennale Internazionale dell’Antiquariato di Firenze (BIAF), la grande vetrina dell’antiquariato italiano: l’evento è previsto dal 2 al 10 ottobre, “se tutto va bene” commenta Moretti, che pur non nascondendo la propria preoccupazione per la situazione di incertezza, mantiene nervi saldi e una lucidità davvero invidiabile. “Non ho il timore del “si fa o non si fa”. Per me al primo posto viene la salute dei partecipanti, allestitori, espositori, visitatori. La Biennale di Firenze si è sempre dimostrata un grande momento di condivisione, di socialità, di rapporto simbiotico con la città di Firenze. Non riesco a immaginarla diversamente e non forzo la mano” [dimostrandosi in questo sulla stessa lunghezza d’onda di un grande imprenditore come Claudio Luti, che in questi giorni ha dichiarato: “a Milano vogliamo fare un Salone del Mobile che sia bello e sicuro, non a tutti i costi”]. Proviamo a essere ottimisti e credere in un settembre/ottobre covidfree, ma non ci sono un po’ troppi eventi in programma (Salone del Mobile/Miart, ArtBasel, il TEFAF…)? “No, questo davvero per la Biennale non è un problema. E’ una mostra così importante, così storica, così…unica da non temere rivali” si inorgoglisce Moretti, al quale preme ricordare “che Firenze è importante soprattutto perché rappresenta l’articolazione del mercato italiano, con espositori e opere che si vedono solo qui. E mi dispiacerebbe proprio per queste rarità, per la passione che c’è dietro, dover saltare un anno”.

La passione per l’arte, per l’antico e la storia. Non è tutto un po’ svilito dal ricorso continuo all’online a cui siamo costretti?
L’online era inevitabile già prima della pandemia. E’ decisamente un succedaneo. Le opere d’arte, i segreti del nostro mondo, il contatto umano – e io ho fatto in tempo a conoscere veri maestri, che non riesco a dimenticare – tutto questo online è abbastanza anestetizzato. Io stesso non batto mai online, devo confessare che durante le sessioni d’asta il rumore del martelletto è capace di darmi rare emozioni, è pura adrenalina”.

Si parla molto di effetti collaterali della Brexit, del ruolo della Francia che ambirebbe a prendere il posto dei britannici nel mercato d’arte…
La Brexit è stata un enorme autogol, un’autentica follia. Per noi europei questo nuovo regime politico, economico e fiscale sta creando enormi disagi, pensiamo solo alla movimentazione delle opere. Ma per l’esperienza che ho trovo difficile immaginare che Londra possa perdere il suo ruolo costruito con pazienza e lungimiranza: devo essere ottimista e pensare che gli inglesi sapranno inventarsi qualche nuova facilitazione!

Nel mondo anglosassone un’altra bella grana è quella dei musei, alle prese con bilanci disastrosi causa covid e l’amministrazione statale poco propensa a investire…si discute di vendite, in qualche caso già lo si è fatto.
Dipende. Se un museo vende per comprare, se si allontana cioè da qualche scelta del passato in cui non si riconosce, magari un po’ estranea alla collezione, per investire su nuove opportunità presenti sul mercato, può considerarsi una scelta razionale. Viceversa la vendita per pura sopravvivenza può costituire grave danno all’immagine di istituzioni ormai secolari. Spesso è l’extrema ratio, ma c’è un limite a tutto”.

E la tua Firenze? Dibattiti infiniti sul turismo prima eccessivo oggi scomparso, sulla opportunità di cambiamento per lo sviluppo delle cosiddette “città d’arte”.
Certo, è ovvio che vadano ripensate molte scelte. Colgo l’occasione, a proposito del nostro infinito patrimonio, di cui Firenze è massima espressione, per sottolineare che con questi numeri non si va molto lontani. Siamo tutti grati alle numerose associazioni straniere che operano a favore dei nostri beni culturali. E' un bene che esistano e lavorino con passione. Ma sono anche lo specchio di un’Italia che ben altre cifre dovrebbe destinare alla tutela, che dovrebbe promuovere di più la defiscalizzazione dei restauri e capire una volta per tutte che sul nostro tessuto di opere d’arte ci giochiamo il futuro!