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di Marco Riccomini

Milano addio (Graziani a Milano)

«Po, po, po... Le scarpe da tennis bianche e blu, seni pesanti e labbra rosse e la giacca a vento. Oh! Marta io ti ricordo così, il tuo sorriso e i tuoi capelli, fermi come il lago. [Milano] addio cantavi, mentre la mano mi tenevi» (era Lugano, naturalmente, come ricorderanno i cultori del compianto cantautore abruzzese). E chi lascia Milano? La lascia, senza rimpianti, quel San Girolamo che guarda mesto verso l’alto, oltre la parete scabra di roccia, oltre la frasca che fa capolino contro un cielo ancora striato di pallido arancio. Stava mesto entro la sua cornice dorata appeso in alto sopra ad una vetrina stracolma di ritratti miniati in asta al Ponte di Milano. Stava quieto, protetto da un nome sbagliato o meglio generico, che lo poteva porre al riparo da ogni tentazione. Qualcuno, però, s’è fatto tentare e da quella parete alla fine è sceso, controvoglia, portato via a forza dal suo deserto della Calcide, l’anacoreta padre e dottore della chiesa assieme al suo bagaglio raccolto in fretta, composto di panni, incunaboli, teschio e Crocefisso. Me lo immagino adesso appeso sopra ad un divano a due posti rivestito di tenue raso azzurro vegliare sconsolato sopra i premurosi affanni di una vita domestica che ruota tra cucina e tinello. Sarà a Bologna (o così mi auguro); perché la tela apparsa in asta a Milano ed aggiudicata senza gara per poche migliaia di Euro è di Ercole Graziani il Giovane (Bologna 1688-1765), allievo di Donato Creti ed accademico clementino a partire dal 1727. Ma di lui nessuno si cura più; sarà per questo, per questo oblio moderno, che il dotto asceta ha lo sguardo così mesto nel dire addio a Milano? «Po, po, po...», cantava Graziani (Ivan).