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di Carlo Milano

RIFLESSIONI A MARGINE DI FRIEZE MASTERS

Si è chiusa pochi giorni fa la terza edizione di Frieze Masters a Londra. Come sempre, è stata allestita in un’impeccabile struttura temporanea eretta nell’ angolo Nord Est di Regent’s Park, ed ha puntato su uno stile uniforme per gli stands: stessa moquette e stesso colore delle pareti per tutti.

Confermata anche la formula di aprire la mostra a tutta l’arte creata prima del duemila e di limitare la selezione alla pittura e alla scultura, con un veto contro le arti decorative.

Rispetto al passato, si sono visti più mercanti di dipinti antichi, di oggetti di alta epoca, e di archeologia, ma questo non trasforma Frieze Masters in una mostra d’ antiquariato. E’ chiaro che gli organizzatori non vogliono che lo diventi.

Nelle loro intenzioni, Frieze Masters deve essere una mostra eclettica in grado di attirare clienti dalle fisionomie molto diverse. Dai collezionisti di contemporanea che vanno a Frieze, a quelli di Novecento, a quelli di antico, cercando anche di invogliarli a esplorare un gusto eclettico che mescoli opere di secoli e di culture diverse.

Si sono visti stands costruiti con grande originalità, come quello fotografatissimo di Helly Nahmad, che ha ricostruito gli interni di un appartamento parigino del 1968, con dipinti di Picasso, Braque, Fontana, esposti in mezzo a pile di riviste e 33 giri, cartoline, tazze lasciate nel lavandino, e la TV che mostra le proteste degli studenti e un discorso di De Gaulle.

Si sono visti dipinti importantissimi, come un Rembrandt presso Otto Naumann, e numerosi collezionisti internazionali, privati e istituzionali.

Si è visto anche un pubblico folto, in una città come Londra dove oggi si concentrano disponibilità economiche straordinarie, e dove dunque le possibilità di concludere una vendita accrescono.

Ha fatto molto piacere vedere che alcune delle opere più interessanti, come una splendida statua in maiolica policroma di Benedetto Buglioni, due capolavori di Giacomo Piazzetta, e un Hendrick Ter Brugghen fossero presso mercanti italiani.

Eppure, come nel 2012 e nel 2013, era chiara l’ impressione di due fiere parallele, con scarsi punti di contatto tra di loro e con differenti livelli di attività. Una dedicata al Novecento (con, in aggiunta, almeno un intero corridoio di contemporanea, senza che se ne capisse bene il senso, visto che c’era Frieze a poca distanza), un’altra all’antico, e discutendo con gli esposItori di tutte e due queste virtuali sezioni si è capito che anche i visitatori hanno raramente attraversato il confine invisibile.

In sostanza il travaso d’ interesse dei collezionisti di moderno verso l’ antico non avviene ancora, se non in modo sporadico ed imprevedibile. Non è detto che chi entra in una fiera per comprare un Mirò, vedendo un dipinto del Quattrocento cambi idea ed esca con la tavola fiorentina sotto braccio. La contiguità non basta, ne’ il fatto che l’ antico sia a buon mercato rispetto alle valutazioni pazzesche del moderno e del contemporaneo.

Vedremo come andrà l’ anno prossimo, quando forse ci saranno ancora più espositori italiani, attirati da Londra oggi come non mai.