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Leonardo Piccinini

Addio a Philippe Daverio, grande viaggiatore dall’intuito formidabile

L’eccentrico storico dell’arte è morto questa notte all'istituto dei Tumori di Milano. Lo ha reso noto la regista e direttrice del Franco Parenti Andree Ruth Shammah. Docente e saggista, ex assessore alla Cultura del capoluogo lombardo, aveva 71 anni.

Per me, che venivo da Modena, l’incontro con Philippe Daverio era stato da subito uno shock. Tutto sapeva, e quel che non sapeva lo intuiva. Ma com'era possibile? In realtà non era proprio così. Ma quasi. La capacità di scrivere, parlare e pensare in varie lingue, la curiosità spiazzante, si rivelavano, più che in ogni altra circostanza, nel viaggio.

Abbiamo girato insieme in Europa, in Cina, a Cuba…è stato divertentissimo. Ho imparato tutto. Gli italiani, che volevano inquadrarlo in una categoria precisa, lo definivano impropriamente “storico dell'arte”. Per me era molto di più. Con molti storici dell'arte non riesci ad arrivare al termine di una telefonata, con lui potevi starci ore. L'anno scorso partimmo insieme, con la moglie Elena e un simpatico ed educato cagnolino, per il TEFAF di Maastricht, la più importante fiera d'arte e antiquariato del mondo. Era uno dei suoi percorsi privilegiati, la valle del Reno in cui era cresciuto, la Mulhouse dell'infanzia, Basilea: di quei luoghi conosceva ogni dialetto e accento, ogni sfumatura storica e ogni abitudine alimentare.

Il “Wie geht's” con cui iniziava le telefonate di amici e parenti, i ricordi di Ernst Beyeler, la passione per il Medioevo in cui le terre di Carlo Magno erano state divise tra i nascenti Stati in lotta tra loro, fino ai disastri degli ultimi 150 anni, da Sedan in poi. Ci fermammo a Baden Baden a comprare un cappello (l'aveva dimenticato a Milano ed evidentemente non poteva farne a meno…) e scoprimmo che era un negozio che riforniva…Adolf Hitler, immortalato con lo stesso cappello!

A Strasburgo, ad Aquisgrana, a Maastricht: nella città del Limburgo amava tornare ogni volta al tesoro della basilica di San Servazio, per rivedere le sue amate oreficerie, gli oggetti d'arte mosana, araba, di ogni dove finiti lì, in quel crogiuolo di civiltà. Era europeista convinto perché aveva toccato con mano le sofferenze di quell'angolo di mondo. Ed era a suo agio con i mercanti di Maastricht, da ex mercante qual era e pure collezionista.

Raccoglieva oggetti, dipinti, busti (bellissimo quello di Napoleone di Chaudet) con cui aveva sapientemente arredato un'intera ala del suo labirintico appartamento di piazza Bertarelli. Lo vidi commuoversi una sera mentre, non ricordo più in quale città, un organo Silbermann di quelli amati da Mozart, da Schweitzer, veniva suonato magnificamente accompagnato da un coro di bambini. E mi commuovo anch'io, al solo pensiero.


Articolo pubblicato per gentile concessione de Il Sole 24ore