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Marco Riccòmini

The Show Must Go On

Alla fine la voglia di comprare è stata più forte della paura della morte

Col tempo si saprà se fu incoscienza oppure inchino calvinista, secondo la morale per cui, sul palcoscenico del profitto, The Show Must Go On. Così, mentre da noi, gendarmi e cavalli di frisia, circondavano prima piccoli paesi poi l’intera nazione («Empty spaces, what are we living for?», cantava Freddie Mercury), al ‘ballo’ inaugurale del Tefaf di mascherine non se n’è vista manco una. C’è voluta l’evidenza d’un contagio per chiudere il recinto (con un comunicato che minimizzava i rischi sanitari, indirizzato agli espositori, come se i visitatori non avessero avuto il diritto d’essere informati); ossia quando i buoi erano già scappati. Si dirà che fu questione di giorni, che non si poteva prevedere. Intanto, la prudenza aveva tenuto lontani gli ‘statunitensi’, e pure la folla inutile dei curiosi (ha chiosato qualcuno, tra i corridoi mochettati).


"Avrà aiutato l’uso dei social (l’ho comprato da Instagram!, ho sentito dire), e dei virtual tours, a confortare chi era rimasto a casa"


Nell’incertezza iniziale, tuttavia, sono apparsi i primi bollini rossi. Qualcuno, forse, si sarà insospettito. Inquieti dal diffondersi del coronavirus, non sarà che passa inosservato il morbillo? S’è attaccato là dove era prevedibile che attecchisse. Ad esempio, su quella pugna selvaggia tra Orsi, Ricci e Lapiti (si perdoni, in fiera, il gioco di fiere); o sulla parete di scorci della Campagna Romana (Magic Land) di Camuccini o, ancora, su quel diafano Ercole Farnese a grisaglia. Avrà aiutato l’uso dei social (l’ho comprato da Instagram!, ho sentito dire), e dei virtual tours, a confortare chi era rimasto a casa. Alla fine la voglia di comprare è stata più forte della paura della morte: The Show Must Go On.